ISSN 2239-8570

Il problema della struttura e del funzionamento della donazione indiretta rimesso al vaglio delle Sezioni Unite, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

La seconda sezione della Corte di Cassazione ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite al fine di chiarire la controversa questione della struttura e del funzionamento da riconoscere alle fattispecie di donazione indiretta.

Nel caso di specie, il problema si è posto per un atto di trasferimento di titoli su conto corrente, ad un terzo, mediante un ordine impartito alla banca depositaria degli stessi. La figlia del titolare di quei titoli, in qualità di erede, lamenta la mancanza di causa e la nullità dell’atto di trasferimento, in quanto donazione priva della forma solenne richiesta dall’art 782 c.c..

Il giudice di primo grado accoglie la domanda, ritenendo di essere in presenza di una donazione diretta priva del requisito legale di forma solenne. La Corte d’Appello, invece, muovendo dall’assunto che l’atto di trasferimento costituisce una donazione indiretta, ritiene non necessaria la forma prescritta per la donazione diretta. La Cassazione decide di rimettere gli atti alle Sezioni Unite, al fine di ottenere un chiarimento in ordine alla struttura del meccanismo della donazione indiretta, in quanto, dalla soluzione di tale questione, discende anche la soluzione al connesso problema della forma della donazione indiretta.

Come è noto, la donazione può realizzarsi per via indiretta, tramite un atto che presenti la medesima causa della donazione diretta, cioè consentire l’arricchimento del donatario a seguito di un atto di depauperamento del donante. A fronte della identità di effetti, la differenza tra le due ipotesi di donazione riposa nella struttura delle stesse: la donazione indiretta si realizza non attraverso il contratto tipico di donazione ex art 769 c.c., ma attraverso il ricorso a strumenti giudici diversi, piegati in concreto al perseguimento della causa donandi, cioè alla realizzazione di una causa diversa dalla loro causa tipica, così da conseguire, in via mediata, i medesimi effetti di liberalità.

La donazione indiretta è ritenuta ammissibile perché è lo stesso legislatore che sembra contemplarla all’art 809 c.c., quale norma che chiude la disciplina delle donazioni, riferendosi alle liberalità risultanti “da atti diversi dalla donazione ai sensi dell’art 769 c.c.”. Un ulteriore referente normativo si rinviene nell’art 737 c.c., in cui si prevede che l’oggetto della donazione è costituito da ciò che si è ricevuto dalla donazione direttamente o “indirettamente”.

Proprio sull’art 809 c.c. si si appunta l’attenzione della seconda sezione nel chiedersi quali negozi a causa astratta liberale possano realizzare una donazione indiretta. Anche perché la stessa disposizione in esame si limita a non richiamare l’art 782 c.c. che prescrive la forma solenne, senza prendere posizione sul tema della struttura degli atti di donazione indiretta.

La casistica elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza appare particolarmente variegata. La

stessa Cassazione mette in evidenza come la giurisprudenza abbia annoverato, tra le ipotesi di donazione indiretta varie fattispecie, quali: a) i negozi di rinuncia ad un diritto al fine di avvantaggiare un terzo, come la remissione del debito ex art 1236 c.c.; b) il contratto a favore di terzo, la cui causa sia diretta ad arricchire un terzo, a cui il contraente non sia legato da rapporto obbligatorio; c) l’adempimento del terzo, il cui scopo sia quello di beneficiare il debitore; d) l’intestazione di beni a favore altrui, che si realizza quando il donante paga con denaro proprio il corrispettivo del bene acquistato dal donatario e intestato a quest’ultimo; e) il negotium mixtum cum donationem, cioè un negozio oneroso con previsione di un corrispettivo a prezzo vile, con cui le parti pongono in essere una vendita in concreto piegata al perseguimento di una funzione donativa, che giustifica l’effetto traslativo.

Tutte le fattispecie menzionate pongono il problema di stabilire quale sia la struttura idonea a sostenere lo scopo di liberalità. Da qui la necessità di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

A fronte di un orientamento che descrive la fattispecie come la risultante della combinazione di due negozi (il negozio-mezzo e il negozio-fine, accessorio e integrativo), vi è chi ritiene sufficiente un unico negozio, purché capace di sostenere l’effetto liberale indiretto. Viene registrata anche una tesi, secondo la quale il fine liberale potrebbe essere perseguito con qualunque negozio o atto non negoziale, e dunque anche tramite un mero atto materiale (al riguardo, si citano i casi della semina, della piantagione, della costruzione sul fondo altrui, della confessione giudiziale di un debito inesistente, della soccombenza volontaria in giudizio).

La soluzione del caso di specie è, dunque, diversa a seconda della tesi cui aderiranno le Sezioni Unite. Ove si ritenga che la finalità liberale necessiti di un atto negoziale, l’ordine di trasferimento di titoli su conto corrente impartito alla banca ben difficilmente potrebbe essere assimilato a una donazione indiretta, trattandosi di un mero atto di esecuzione di un contratto bancario. A soluzione ben diversa si arriverebbe, invece, a voler sostenere che l’art 809 c.c. consenta di perseguire lo scopo di liberalità con qualunque atto utile allo scopo, oltre che tramite un negozio giuridico. Molteplici le conseguenze che discendono dalla adesione all’una o all’altra impostazione.

In primo luogo, la soluzione assume rilievo fondamentale se si considera che operazioni di liberalità indiretta, come sub iudice, assumono spesso una funzione trans o post mortem, cioè di disposizione non più emendabile.

In secondo luogo, viene in gioco il connesso problema della forma della donazione indiretta, trattandosi di stabilire se il negozio debba seguire la forma della causa donandi in concreto perseguita, cioè la forma solenne, ovvero, se debba presentare la forma propria dello strumento giuridico utilizzato a scopo donativo, cioè la forma del negozio-mezzo.

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