ISSN 2239-8570

Quietanza e prova testimoniale, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

L’ordinanza interlocutoria affida alle Sezioni Unite la annosa questione della ammissibilità della prova testimoniale della quietanza rilasciata dal venditore, con sottoscrizione autenticata da notaio.

Il venditore di un autocarro ottiene dal giudice decreto ingiuntivo per il mancato pagamento del  prezzo di acquisto del veicolo. La società acquirente propone opposizione eccependo che l’adempimento dell’obbligazione assunta con la compravendita risulta dalla dichiarazione verbale di vendita dell’alienante resa davanti a notaio. Contro la decisione di primo grado che accoglie l’opposizione (esclusivamente sulla base delle produzioni documentali delle parti), il venditore propone appello, lamentando l’inammissibilità, ex artt. 2726 (Prova del pagamento e della remissione) e 2722 (Patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento) c.c., delle istanze istruttorie prodotte (il riferimento è alla testimonianza resa da una dipendente dell’appellante relativamente al mancato pagamento della fattura nei confronti dell’acquirente). In tal modo, il venditore ottiene la conferma del decreto ingiuntivo, poiché viene ritenuto non operante, con riferimento alla quietanza, il divieto di cui all’art. 2722 c.c., essendo la quietanza un atto contenente una dichiarazione unilaterale. La controversia giunge così in Cassazione su ricorso dell’acquirente.

Come si accennava, la decisione della Corte ruota tutta attorno al problema dell’ambito di applicazione del divieto risultante dal combinato disposto degli artt. 2722 e 2726 c.c.: si tratta di stabilire se “il divieto di prova testimoniale si estenda anche alla quietanza rilasciata dal venditore di autocarro con dichiarazione sottoscritta ed autenticata da notaio, con tutte le conseguenze quanto al regime probatorio in riferimento a dedotti fatti anteriori o contestuali contrari al contenuto della quietanza ovvero alla simulazione della quietanza medesima”.  La Corte rileva come la soluzione della questione sia strettamente legata alla più generale questione della natura della quietanza e al regime di efficacia probatoria ad essa collegato, cioè quello della simulazione o dell’atto avente natura confessoria, essendo questi gli ambiti nei quali la quietanza viene spesso ricondotta.

Con la presente ordinanza, la Cassazione trasmette gli atti alle Sezioni Unite, conscia   dell’importanza pratica di pervenire ad una risposta univoca al problema: dal modo di qualificare la natura della quietanza discende l’individuazione delle diverse prove che possono essere chieste dalle parti e ammesse dal giudice ai fini dell’accertamento della non veridicità della quietanza medesima. Nell’ordinanza la Corte rileva, infatti, come, fino ad oggi, la soluzione negativa all’ammissibilità della prova per testi della quietanza si sia fondata su ragioni diverse.

In realtà, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza  n. 6877/2002, in passato, hanno già avuto occasione di prendere posizione sul problema, precisando che “la questione della ammissibilità della prova per testimoni della simulazione della quietanza va risolta in coerenza con la disposizione dell’art. 1417 (Prova della simulazione) c.c., secondo cui la prova della simulazione dedotta da una delle parti per l’accertamento del negozio dissimulato lecito incontra gli stessi limiti stabiliti dall’art. 2722 c.c. per la prova testimoniale”. Più di recente, tuttavia, la Cassazione (Cass., 7 settembre 2007, n. 18882; Cass., 28 giugno 2010, n. 15380) ha ribadito l’esistenza del divieto di prova testimoniale al fine di dimostrare la simulazione assoluta della quietanza, precisando che quest’ultima “costituisce un atto unilaterale di riconoscimento del pagamento, che integra, fra le parti, confessione stragiudiziale, in quanto proveniente dal creditore e rivolta al debitore”; in quanto tale, essa fa piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo. Di conseguenza, “l’esistenza del fatto estintivo (pagamento) da essa attestato può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall’art. 2732 c.c., per privare di efficacia la confessione, essendo irrilevanti il dolo e la simulazione”.

Pubblicato in Ordinanze di rimessione

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