ISSN 2239-8570

Intermediazione finanziaria e obblighi di informazione post-contrattuale, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

La sentenza in esame appare di interesse nella parte in cui, tra le varie questioni affrontate, chiarisce  il contenuto degli obblighi di informazione gravanti sull’intermediario finanziario in relazione ad un contratto di custodia e amministrazione titoli. In particolare, viene in rilievo la distinzione tra gli obblighi attinenti alla fase precedente alla formazione del contratto e quelli relativi alla fase di esecuzione del rapporto.

Nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 c.c., sull’assunto dell’esistenza, in capo all’intermediario finanziario, del dovere di adempiere, in sede di esecuzione del predetto contratto, le obbligazioni collaterali di informazione e protezione della controparte. Un obbligo che i giudici di secondo grado avevano ritenuto di escludere, come conferma oggi la Corte di Cassazione.

Tale motivo di impugnazione viene giudicato infondato. Secondo la Corte, non esiste alcun obbligo di informazione post-contrattuale sull’andamento del titolo nelle ipotesi di incarico di negoziare strumenti finanziari. Due i dati normativi alla base di questo assunto.

Siffatto obbligo non sarebbe desumibile né dall’art. 21 del d.lgs. 58/1998, nella parte in cui fa riferimento alla necessità che i soggetti abilitati acquisiscano le informazioni necessarie dai clienti e operino in modo da assicurare che questi ultimi siano sempre adeguatamente informati. Né, tanto meno, dall’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1998 (recepito poi dall’art. 55 del successivo Regolamento Consob n. 16190/2007), laddove, in relazione all’investimento in derivati, fissava l’obbligo di dare prontamente notizia, per iscritto, di eventuali perdite effettive o potenziali pari o superiori al 50%.

Alla luce della lettura congiunta di questi due dati normativi, la sentenza si allinea ai propri precedenti in tema di contratti relativi a strumenti finanziari, escludendo che l’intermediario sia assoggettato ad un obbligo informativo post-contrattuale, anche quando il contratto stipulato sia soltanto un contratto di deposito titoli in custodia e amministrazione.

Viene precisato, altresì, che un siffatto obbligo potrebbe venire in considerazione solo con riferimento a un rapporto di gestione del portafoglio relativamente all’aggravamento del rischio dell’investimento già effettuato (Cfr. Cass., n. 16318/2017; Cass., n. 4602/2017).

Ma vi è di più. La Corte pone a fondamento della propria decisione non soltanto la normativa speciale in questa materia, ma anche le regole e i principi generali del diritto dei contratti, ritenendo che il predetto dovere informativo dell’intermediario non potrebbe essere desunto neppure dai generali doveri di correttezza, buona fede e diligenza. Questo non solo perché «la disciplina di dettaglio contenuta nel regolamento riduce naturalmente il campo di applicazione delle clausole generali, ma soprattutto perché, al di fuori di un servizio di consulenza o di gestione patrimoniale, dopo l’erogazione del servizio, si è esaurita l’attività dell’intermediario con riferimento all’ordine eseguito» (Cfr. Cass., n. 2185/2013; Cass., n. 21890/2015).

La sentenza in esame, con riferimento al caso di specie, affronta almeno altre due questioni rilevanti.

Innanzitutto, viene confermata, la valutazione, operata dal giudice di merito, circa l’adeguatezza dell’operazione di investimento finanziario. Viene, infatti, ribadito che, in forza della suitability rule dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998, l’adeguatezza per tipologia e oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, le quali si riflettono poi sul coefficiente di rischio dell’operazione. Al contrario, l’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda il rapporto tra l’entità dell’investimento e il portafoglio del cliente. Tutti i profili sopra menzionati debbono essere oggetto di spiegazione da parte dell’intermediario, affinché l’investitore possa effettuare una scelta consapevole, in relazione al tipo di attività da svolgere.

Poiché, però, la sentenza impugnata non riguardava gli ultimi aspetti, e i due investitori avevano dichiarato di avere media esperienza in materia di strumenti finanziari, nonché media propensione al rischio, gli investimenti erano stati correttamente giudicati adeguati.

In ultimo, sotto il profilo più prettamente processuale, giova sottolineare che la sentenza compie anche un importante chiarimento circa il riparto degli oneri probatori, precisando che la prova dell’assolvimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario può essere anche di carattere testimoniale. Non sussisterebbe, infatti, alcun dato normativo da cui desumere la necessità della prova scritta. In particolare, i giudici reputano che siffatta prova possa consistere anche nella deposizione testimoniale del funzionario della banca; difatti «il dipendente dell’intermediario finanziario che ha dato corso all’operazione impugnata dall’investitore ha un interesse riflesso e di mero fatto all’esito della causa e non può pertanto essere ritenuto incapace a testimoniare».

 

 

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