ISSN 2239-8570

Nullità dei contratti di swap ed enti locali: i chiarimenti delle Sezioni Unite, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

I contratti di interest rate swap tornano nuovamente all’attenzione della giurisprudenza con un’importante sentenza delle Sezioni Unite, che cerca di fare chiarezza su due questioni di particolare complessità. L’una riguarda un profilo di diritto contrattuale, relativo alla causa degli swap, l’altra, pur strettamente legata alla prima, chiarisce un profilo amministrativistico, quello dell’organo dell’ente locale competente a decidere della stipulazione di uno swap.

Le questioni tratteggiate si pongono nell’ambito del giudizio instaurato su domanda di un ente comunale, volta a far caducare alcuni contratti di swap con clausola iniziale di upfront conclusi in epoca precedente all’entrata in vigore della legge n. 203/2008. L’art. 3 di questa legge ha modificato la normativa previgente, qualificando quel genere di contratti una forma di indebitamento (attuale o potenziale) per l’ente pubblico, in considerazione della loro natura aleatoria. Da qui la questione della validità dei derivati conclusi dal Comune ricorrente ai sensi del previgente art. 3, comma 1, d.m. 1°dicembre 2003, n. 389. In primo grado, il giudice respinge la domanda del Comune e riconosce la sua legittimazione a stipulare contratti di swap, mentre in grado di appello, la Corte accoglie le sue doglianze, predicando la nullità di quei contratti (ex art. 30, comma 15, l. n. 282/2002), giacché generano un indebitamento che non appare assunto per finanziare spese di investimento. Invero, i giudici rilevano la mancata determinazione del valore attuale dei derivati al momento della stipulazione (c.d. market to market), che è, invece, reputata «elemento essenziale e integrativo della causa tipica (un’alea razionale e quindi misurabile) da esplicitare naturalmente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (hedging) o speculativa». Il fatto che la norma in cui si qualifica l’upfront come indebitamento sia entrata in vigore successivamente alla stipula dei contratti, secondo la Corte, non implica che quelle somme di denaro siano state versate legittimamente in epoca precedente all’entrata in vigore della nuova disciplina. In conseguenza, viene anche accolto il rilievo per il quale le delibere di accensione degli swap debbono essere assunte dal consiglio comunale, implicando spese che impegnano i bilanci per gli esercizi successivi (ex art. 42, comma 2, let. i), T.U.E.L.).

A fronte del ricorso della banca soccombente, la I sezione della Corte di Cassazione invoca l’intervento delle Sezioni Unite, ravvisando due questioni di massima di particolare importanza (ex art. 374, comma 2, c.p.c.). Sul piano civilistico – che qui più interessa -, si tratta di stabilire se l’assunzione dell’impegno dell’ente locale che stipuli un contratto avente a oggetto uno swap (in particolare quello che prevede un upfront) sia qualificabile come “indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall’investimento”; e se, all’epoca della sua stipulazione, fosse consentita la conclusione di contratti derivati da parte degli enti locali. Sul piano amministrativistico, si tratta di individuare quale sia l’organo chiamato a deliberare su tale operazione.

Per affrontare la prima questione, le Sezioni Unite, oltre a richiamare il composito quadro normativo vigente in materia, approfondiscono il fenomeno dei “contratti derivati”, stante la mancanza di una definizione generale e la notevole varietà di fattispecie create dalla prassi finanziaria. Il caso di specie concerne il più diffuso tipo di swap, il c.d. interest rate swap, cioè un contratto di scambio di obbligazioni pecuniarie future con cui le parti si impegnano reciprocamente a pagare l’una all’altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro di riferimento (c.d. nozionale) per un dato periodo di tempo. Trattasi di un derivato c.d. over the counter (OTC), in quanto gli aspetti fondamentali del contratto e il suo contenuto non sono standardizzati, ma sono dati dalle parti in funzione delle specifiche esigenze del cliente (detto bespoke); rispetto a quest’ultimo l’intermediario opera come controparte diretta nell’ambito di una prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio ex art. 23, comma 5, T.U.F.. Tale strumento finanziario non è destinato alla circolazione, non essendo standardizzato, né ha la c.d. negoziabilità (cioè tende a non divenire autonomo rispetto al negozio che lo ha generato). Nel caso di specie, inoltre, trattasi di swap “non par” rispetto alle condizioni corrispettive iniziali, e, in quanto tale, è riequilibrabile col pagamento di una somma di denaro al soggetto che accetta le prestazioni deteriori (c.d. upfront). Mentre, nei casi in cui l’operazione divenga “non par” in un momento successivo, acquista rilievo il c.d. market to market, ossia il costo di sostituzione al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo può subentrare nel derivato.

L’aspetto più discusso dell’IRS è la sua causa. Sebbene parte della giurisprudenza ravvisi nello swap la causa della scommessa di cui agli artt. 1933 e 1935 c.c., l’orientamento maggioritario rinviene l’elemento causale nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio. Sicché, si tratterebbe di un contratto aleatorio, descrittivamente paragonabile a una sorta di “scommessa” finanziaria differenziale. In conseguenza, per stabilire la liceità del contratto, occorre verificare se vi sia un accordo tra intermediario e investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente conosciuti e oggettivamente condivisi (“scommessa razionale”), poiché solo in tal caso è ravvisabile il presupposto dell’utilità sociale dell’operazione.

Le Sezioni Unite, aderendo a quest’ultima impostazione, chiariscono che gli swap sono negozi a causa variabile, aventi «una finalità ora assicurativa ora di copertura dei rischi sottostanti; così che la funzione che l’affare persegue va individuata esaminando il caso concreto». Ne consegue che, in mancanza di adeguata caratterizzazione causale nei termini indicati, il contratto è nullo perché privo di un profilo causale chiaro e definito.

In base alla prospettata ricostruzione, le Sezioni Unite risolvono poi il problema specifico della validità dei contratti di swap stipulati da enti locali. Già a partire dalla l. 724/1994 (art. 35), questi ultimi possono ricorrere al mercato dei capitali attraverso l’emissione di prestiti obbligazionari destinati al solo finanziamento degli investimenti. Nel tempo, il legislatore è intervenuto più volte in materia per limitare e controllare tale facoltà, rafforzando il regime dei poteri di verifica esterni e gli obblighi di trasparenza. Fino al 2013, gli enti locali disponevano della legittimazione a concludere contratti derivati (di copertura, non speculativi) alle seguenti condizioni: che l’oggetto del contratto fosse misurabile e determinabile, alla luce sia del criterio sia del market to market sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto; e che lo strumento finanziario fosse connotato da utilità sociale. Con la l. n. 147/2013 (legge di stabilità per il 2014) è stato stabilito, invece, il divieto per gli enti locali di accedere ai derivati, a pena di nullità eccepibile solo dai medesimi. La ratio di tale norma riposa nella spiccata aleatorietà dei derivati, la cui pattuizione crea «una forte disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introducendo variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa».

Ciò chiarito, le Sezioni Unite precisano che, nel caso di specie, i contratti di swap, pur validi in quanto stipulati ante legge del 2013, contengono anche clausole di upfront, cioè clausole che importano indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell’art. 119 Cost.. Conseguentemente, ove l’IRS negoziato dal Comune con finanziamento upfront incida sull’entità globale dell’indebitamento dell’ente, l’operazione deve essere autorizzata, a pena di nullità, dal Consiglio comunale, in conformità all’art. 42, comma 2, lett. i), T.U.E.L.. A sostengo di tale conclusione riposano non solo le condizioni sostanziali di tali forme di finanziamento, ma anche la necessità di assicurare il coinvolgimento della minoranza in funzione di controllo sull’operazione. Sicché, le Sezioni Unite reputano non censurabile la sentenza impugnata che ha ritenuto fondato il rilievo del Comune per il quale il contratto di swap con clausola iniziale upfront costituisce, proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l’ente pubblico, da deliberare in sede consiliare.

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