ISSN 2239-8570

Nullità delle clausole fideiussorie omnibus a valle di intese illecite, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

La prima sezione della Corte di Cassazione ha pronunciato una importante sentenza, destinata a produrre rilevanti ripercussioni pratiche nel settore della contrattazione bancaria, con particolare riguardo alle fideiussioni.
La vicenda riguarda un contratto di fideiussione omnibus concluso dal ricorrente (fideiussore) con una banca in modo del tutto conforme allo schema contrattuale predisposto dall’ABI relativamente alle “Condizioni generali di contratto per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”. Sennonché, il ricorrente lamenta la nullità della fideiussione in quanto, benché conforme al predetto schema, risulta, tuttavia, attuativa, di clausole che la Banca d’Italia ha ritenuto – in data successiva alla pattuizione – in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287/1990 (c.d. legge antitrust).

La Corte d’Appello rigetta l’impugnazione del negozio sull’assunto che il provvedimento della Banca d’Italia, avendo carattere meramente regolamentare, non possa trovare applicazione ai contratti stipulati successivamente alla sua emanazione. Pertanto, quel provvedimento, inciderebbe non sulla legittimità, ma sulla contrarietà delle clausole ABI alla legge antitrust in conseguenza della loro applicazione uniforme. Solo il comportamento dell’ABI, in questa prospettiva, apparirebbe illegittimo e, dunque, idoneo a determinare la nullità dei contratti a valle stipulati successivamente al provvedimento della Banca d’Italia. Ne consegue il rigetto della domanda per effetto del riconoscimento della validità del contratto di fideiussione, sottoscritto, oltretutto, in data anteriore alla pubblicazione del provvedimento della predetta Autorità indipendente.

La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ribalta la decisione di merito, stigmatizzando la prassi bancaria di applicazione uniforme di clausole contrattuali che siano il frutto di una intesa illecita intervenuta tra gli istituti di credito, in quanto contraria a norme imperative. I giudici, dopo aver accertato la illiceità degli accordi (anticoncorrenziali) conclusi a monte e concretizzatesi nelle norme bancarie uniformi dell’ABI, affermano la potenziale nullità di tutti contratti stipulati a valle che costituiscano applicazione di quelle intese illecite.

Sicché, tutte le fideiussioni omnibus stipulate dopo l’entrata in vigore della legge antitrust, in attuazione di siffatte intese, sono da considerarsi nulle anche se stipulate anteriormente all’accertamento della violazione della disciplina antitrust compiuto dall’Autorità garante. E tanto alla sola condizione che, naturalmente, l’intesa a monte sia intervenuta prima della stipulazione del negozio a valle.

A fondamento della decisione, la Corte di Cassazione richiama la ratio della legge antitrust, come chiarita da un proprio precedente a Sezioni Unite del 2005 (Cfr. SSUU, n. 2207/2005): la legge, essendo posta a presidio della libertà di concorrenza, si rivolge non solo agli imprenditori, ma a qualunque altro soggetto del mercato che abbia interesse alla conservazione del suo carattere competitivo. Invero, di fronte a un comportamento anticoncorrenziale, «il consumatore vede svilito (se non calpestato) il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza» e, nel contempo, i contratti a valle finiscono per dare attuazione alla intesa vietata, quali strumenti essenziali a realizzarne gli effetti.

A tutela della concorrenza e degli soggetti che operano sul mercato, il legislatore mette, quindi, a disposizione proprio l’azione di nullità e riconosce il diritto al risarcimento del danno derivante da una contrattazione che non ammette alternative per effetto della collusione a monte.
La sentenza segnalata si rivela interessante non solo per l’impatto pratico che discenderà su tutte le fideiussioni omnibus stipulate dalle banche italiane in base allo schema ABI, ma anche perché, sul piano di teoria generale, offre una importante puntualizzazione in ordine alla nozione di intesa illecita.

La legge antitrust mira a sanzionare il fatto della distorsione della concorrenza ogniqualvolta essa costituisca il risultato di «un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche». Questo risultato è stigmatizzato qualunque sia la forma attraverso la quale viene realizzato. Assumono, pertanto, rilevanza, ai fini dell’accertamento della violazione della disciplina antitrust, non solo le fattispecie contrattuali, ma anche i comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”, purché coinvolgano la partecipazione di almeno due imprese, oppure, le fattispecie in cui l’intesa costituisce espressione del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”.

Ne consegue che il giudice sia chiamato ad accertare la nullità delle intese non solo in relazione all’eventuale negozio giuridico originario a monte della successiva sequenza comportamentale, ma anche con riguardo «a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza».

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