ISSN 2239-8570

Articolazione della clientela e tutela dell’investitore: la Cassazione si pronuncia sul valore della qualifica di “operatore qualificato” in materia di operazioni in strumenti finanziari, di Serena Meucci

 Dottore e assegnista in diritto civile – Università di Firenze

 

Cass., 26 maggio 2009, n. 12138

Sommario: 1. Il caso. – 2. Dall’ “operatore qualificato” al “cliente professionale su richiesta”. L’evoluzione normativa. – 3. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito. – 4. La soluzione adottata dalla Suprema Corte: il riparto dell’onere probatorio.

 

1. Il caso

Con la sentenza in analisi la Suprema Corte prende posizione sul valore della dichiarazione resa dal cliente corporate quale operatore qualificato e fornisce precisi criteri quanto all’articolazione dell’onere probatorio tra cliente e intermediario.

La fattispecie concreta, che  si inserisce in una serie di controversie che negli ultimi mesi hanno spesso occupato le aulee dei Tribunali, riguarda un contratto di swap su valuta estera (il Marco tedesco) stipulato nel 1992 dalla società Alfa S.p.a. con la Banca Beta a seguito del quale la società aveva riportato ingenti perdite dovute all’uscita nel settembre 1992 della lira italiana dallo SME con conseguente deprezzamento rispetto al Marco. La società mediante atto scritto aveva conferito mandato alla banca per la negoziazione di valori mobiliari dichiarando di essere operatore qualificato ai sensi dell’art. 13 del Regolamento Consob 1991/5387 al tempo vigente e, pertanto, dotata di specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari. A fronte della suddetta qualità, risultava esclusa l’applicazione delle norme di protezione di cui all’art. 6 della legge 1/1991 e del citato regolamento Consob.

In primo e  in secondo grado i Giudici hanno respinto le domande di condanna al pagamento avanzate dalla società la quale, nel presentare ricorso per Cassazione, propone – tra gli altri –  i seguenti  motivi: l’illegittimità dell’art. 13 del Regolamento Consob 1991/5387 che ha introdotto la categoria dell’operatore qualificato (e conseguente esclusione di determinate norme di protezione) in mancanza di delega da parte del legislatore ordinario in ordine alla derogabilità delle norme di protezione in ragione della natura del soggetto cliente (art. 9 legge 1/1991); violazione e falsa applicazione delle citate previsioni (art. 13 del Regolamento e art. 6 l. 1/1991) giacché i giudici di appello non hanno indagato nel merito l’effettivo possesso della specifica competenza ed esperienza in operazioni in valori mobiliari attribuendo rilevanza definitiva alla mera attestazione sottoscritta dal legale rappresentante su modulo prestampato.

Prima di valutare le argomentazioni accolte dalla Suprema Corte è opportuno ricostruire l’evoluzione normativa a partire dalla disciplina vigente ratione temporis nella fattispecie concreta, fino alle recenti modifiche apprestate dalla attuazione del c.d. sistema MiFID.

 

2. Dall'”operatore qualificato” al “cliente professionale su richiesta”. L’evoluzione normativa.  

 

Il dato normativo applicabile  alla fattispecie è l’art. 13 del regolamento Consob 5387 del 9 dicembre 1991 che definisce come operatori qualificati, tra gli altri, “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari espressamente dichiarata per iscritto nel contratto di cui all’ art. 9”, disponendo che a tale categoria non sono applicabili certe norme di salvaguardia. Di tenore analogo –  e analoghe, dunque, sono le difficoltà  interpretative come rileva la stessa Cassazione  – è la previsione del Regolamento Consob n. 11522/1998 (che ha sostituito e abrogato il precedente del 1991) il cui art. 31 comma 2 stabilisce che per operatori qualificati si intendono, tra gli altri, “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”. Il quadro giuridico di riferimento è stato infatti modificato dalla direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 (Investiment Services Directive), relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, la quale riconosce al legislatore nazionale margini di discrezionalità nell’individuazione delle categorie di investitori per le quali attuare forme di tutela differenziata. La direttiva in parola è stata recepita dal d.lgs. 1998/58, che, all’art. 6 comma 2 ha demandato alla Consob il compito di disciplinare il rapporto con i clienti, «tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l’esperienza professionale dei medesimi», riconoscendo la necessità di graduare la tutela offerta alla clientela degli intermediari finanziari. A fondamento vi è l’esigenza di razionalizzare il mercato, evitando l’applicazione di norme dispendiose e inutili a clienti “qualificati” dal momento che in tali  casi l’asimmetria informativa che giustifica il consistente apparato di obblighi a tutela del cliente risulta colmata. Nei Considerando della direttiva vi è la constatazione dell’opportunità di «tenere conto delle varie esigenze di tutela delle diverse categorie d’investitori e del loro livello di esperienza professionale» al quale fare conseguire differenziati meccanismi protettivi, stante l’irragionevolezza del mantenimento di tutele eccessivamente pregnanti per soggetti dotati di specifica conoscenza del mercato e dei servizi finanziari. 

Ultima tappa dell’evoluzione normativa è data dal Reg. Consob 29 ottobre 2007, n. 16190 (successivamente modificato con delibera n. 16736 del 18 dicembre 2008) recante norme di attuazione del t.u.f. in materia di intermediari, che  ha abrogato e sostituito il Regolamento 11522/1998. Più precisamente il d. lgs.  164/2007, attuativo del sistema MiFID (Market in Financial Instruments Directive – direttiva 2004/39/CE), ha introdotto nel testo unico del 1998 l’art. 6, co. 2 quinquies con il quale si è attribuita alla Consob, sentita la Banca d’Italia, la competenza in ordine all’individuazione dei clienti professionali privati nonché i criteri per l’identificazione di quei soggetti che possono richiedere di essere trattati come tali.  Per questi ultimi, il diverso regime riguarda, tra l’altro, gli obblighi informativi (artt. 29 ss. Reg. Consob n. 16190/2007); l’introduzione di presunzioni per quanto concerne la valutazione di adeguatezza (art. 40 Reg. Consob) e appropriatezza (art. 42 Reg. Consob); l’incidenza sulle valutazioni effettuate dall’intermediario per realizzare il miglior risultato possibile per i clienti (best execution – art. 45 Reg. Consob), e l’esclusione del carattere ‘‘di comunicazione a distanza” delle attività di promozione e collocamento svolte nei confronti dei clienti professionali (art. 79 Reg. Consob).

L’obiettivo che sorregge il nuovo sistema è bene individuato nella direttiva MiFID: «le misure destinate a proteggere gli investitori devono essere adeguate alle specificità di ciascuna categoria» di soggetti. Si predispone pertanto una triplice articolazione della figura del cliente, intesa quale «persona fisica o giuridica alla quale vengono prestati servizi di investimento o accessori» in: controparti qualificate, clienti professionali (privati e pubblici; di diritto o su richiesta) e clienti al dettaglio. Per ciascuna categoria è prevista una graduazione di intensità degli obblighi informativi e di condotta in testa all’intermediario.

La categoria che qui più interessa è quella dei c.d. clienti professionali su richiesta, i quali, cioè, possiedono «l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assumono» (così l’allegato 3 al Reg. Consob n. 16190/2007): è questa la species che si avvicina alla figura dell’operatore qualificato operativa sotto la vigenza del Reg. Consob n. 11522/1998. Con novità a ben vedere considerevoli.

Il citato allegato 3 al Reg. Consob n. 16190/2007 stabilisce che gli investitori (siano essi persone fisiche o giuridiche) non rientranti nella categoria di clienti professionali di diritto possono essere “trattati” come tali e a condizione che siano rispettati due tipologie di requisiti. In primo luogo si sancisce un criterio di ordine generale: la disapplicazione delle regole di condotta «è consentita quando, dopo aver effettuato una valutazione adeguata della competenza, dell’esperienza e delle conoscenze del cliente, l’intermediario possa ragionevolmente ritenere, tenuto conto della natura delle operazioni o dei servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume».  Si è già avuto modo di osservare come una previsione così generale difficilmente realizzerebbe l’obiettivo di  razionalizzazione del mercato giacché l’ampiezza del parametro e le diverse interpretazioni cui può dare adito incrementerebbero le incertezze e, quindi, le inefficienze.  A tale previsione si accompagnano tre criteri obiettivi (due dei quali) devono essere soddisfatti a fini della qualifica di «clienti professionali su richiesta», criteri incentrati sulla frequenza delle operazioni sul mercato finanziario, sul valore del portafoglio di strumenti finanziari e sull’esperienza che deriva dall’avere lavorato nel settore.

Il secondo ordine di requisiti ha carattere procedurale. Affinché il cliente sia qualificato come professionale è prevista una proceduta “rafforzata” volta a sollecitare l’attenzione dell’investitore sulle dichiarazioni rese e i relativi effetti in termini di incidenza sui meccanismi di tutela. Non è sufficiente un’unica dichiarazione scritta – su modello di quella prevista dall’art. 31, 2º co., Reg. Consob del 1998 – bensì  occorre uno scambio di più comunicazioni: i clienti devono comunicare per iscritto all’intermediario il loro desiderio di essere «trattati come clienti professionali (a titolo generale o rispetto ad un particolare servizio od operazione di investimento);  l’intermediario deve avvertire i clienti, in una comunicazione scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere; i clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni».

Ciò precisato, sempre nel quadro dell’evoluzione normativa è bene soffermarsi sulla questione – sottoposta alla S.C. – della legittimità della articolazione della clientela operata dal Regolamento del 1991 con riguardo alla previsione della legge 1/1991. La società ricorrente lamenta infatti l’illegittimità della disposizione regolamentare in mancanza di una  delega da parte del legislatore ordinario e, dunque, la violazione dell’art. 3 comma 2 e dell’art. 4 comma 1 delle Disposizioni sulla legge in generale.

Il vero è che  l’art. 9 della legge 1/1991 non contiene un’espressa previsione che legittima la disapplicazione di certi obblighi e la disposizione di tutele differenziate in base alle tipologie di investitori. Tale norma infatti demanda alla Consob, d’intesa con la Banca d’Italia, il compito di determinare “le regole di comportamento che le società di intermediazione mobiliare devono osservare nello svolgimento delle attività per le quali sono autorizzate”.

La Cassazione tuttavia giunge a ritenere legittima la previsione regolamentare in parola sulla base di una lettura sistematica della legge 1/1991 che consente di interpretare in modo ampio il generico riferimento alle “regole di comportamento”. I principi alla luce dei quali tale indice viene letto sono quelli dell’esigenza di apprestare tutele differenziate e di contemperare la protezione del cliente “con le ragioni di celerità e di flessibilità dei rapporti contrattuali nel peculiare settore degli investimenti mobiliari, in quanto riservare ad un cliente particolarmente esperto l’identico trattamento previsto per un cliente ordinario, privo di specifiche conoscenze ed esperienza nel settore, conduce all’inutile applicazione di norme di salvaguardia, che si traducono in un rallentamento delle operazioni contrattuali e in un incremento dei costi”, senza alcun vantaggio per il cliente che sia in grado di conoscere e valutare i rischi specifici dell’operazione.

In altri termini, la Consob mediante il Regolamento 1991/5387 ha legittimamente recepito le regole di flessibilità inerenti il sistema e richieste dal mercato dell’intermediazione mobiliare, disapplicando determinate norme di salvaguardia per i servizi offerti a clienti particolarmente esperti. Tale attività, nella ricostruzione della Suprema Corte, è avvenuta conformemente e in attuazione della delega di cui alla l. 1/1991 (determinazione di regole di comportamento) e della relativa ratio, dunque nell’esercizio del potere attribuito ex lege, pur in mancanza di una espressa e diretta previsione da parte della norma primaria.  Sicché si esclude, recependo le osservazioni dei Giudici di Appello, che la disciplina regolamentare in parola sia contra legem: la stessa si pone, invece, praeter   legem e provvede a “colmare quegli spazi lasciati vuoti dalla legge” conformemente alla potestà regolamentare propria delle autorità amministrative indipendenti. Il cui ruolo è delineato in termini funzionali a un’esigenza di ampia regolamentazione di settori operativi da svolgersi nel quadro dei principi generali stabiliti dalla normativa primaria, con “larghi margini di scelta discrezionale”. Il che consente di disciplinare autonomamente materie aventi dignità legislativa pur non trattate dalla legge e realizzare “una funzione integratrice delle fonti primarie” piuttosto che una mera precisazione in dettagli tecnici del contenuto di regole di comportamento fissate in linea generale dalla legge.

La questione può dirsi risolta già col D.Lgs. 58/1998 il cui art. 6 comma 2, come si è visto, attribuisce espressamente  alla Consob la facoltà di graduare la tutela giuridica offerta alla clientela degli intermediari finanziari. D’altra parte merita considerazione l’orientamento flessibile e attento alla ratio piuttosto che alla dimensione solo formalistica adottato dalla Suprema Corte nell’interpretare le competenze regolamentari delle autorità amministrative indipendenti in rapporto alle previsioni normative primarie.

Occorre a questo punto entrare nel merito dei problemi interpretativi legati al valore della dichiarazione resa dal legale rappresentante di una società con la quale attesti il «possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari» ai sensi dell’art. 31 Regolamento n. 11522 del 1º luglio 1998 (e prima, del Regolamento 5387/1991), assurgendo così allo status di “operatore qualificato”.

L’incertezza di tale formulazione ha dato adito a diverse interpretazioni.  Il problema del valore da attribuire alla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 31 Reg. Consob n. 11522/1998, quale certificazione ex se liberatoria ovvero attestazione autoreferenziale insufficiente che non preclude un’indagine sostanziale in testa alla banca, non ha trovato soluzioni univoche in giurisprudenza; al contrario, ha dato vita a un abbondante contenzioso tuttora in essere sul quale è opportuno soffermarsi. Brevemente.

 

 

3. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito.

 

In prima battuta occorre considerare che, già nel sistema precedente all’attuazione della MiFID, l’inserimento di un ente nel quadro degli operatori qualificati è operazione tutt’altro che neutra considerata la disapplicazione di alcuni obblighi informativi e di condotta in testa all’intermediario. Una delle principali problematiche – affrontata anche nella legge sulla tutela del risparmio del 2005 (legge 28 dicembre 2005, n. 262) – concerne proprio il contemperamento tra esigenze difficilmente riconducibili ad unità: dal versante dell’offerta dei servizi e prodotti finanziari, la rapidità e la dinamicità e, quindi, il contenimento delle disposizioni normative restrittive o inutilmente onerose. Dal versante degli investitori, l’esigenza muove verso la predisposizione di un completo sistema di controlli, regole di condotta e procedure.

Più precisamente, sono previste consistenti deroghe circa gli obblighi di informazione sia di carattere attivo (da fornire al cliente) che passivo (c.d. know your customer rule). Un esempio tra i più significativi concerne la valutazione di adeguatezza (suitability), rispetto alla quale il principio di conoscenza del cliente risulta prodromico. Ancora, l’affievolimento delle tutele derivanti dalla qualifica di “operatore qualificato” incide in materia di conflitto di interessi (art. 27 Reg. Consob n. 11522/1998) e di best execution (art. 32, 3º co., del medesimo Reg. Consob).

La giurisprudenza di merito, come accennato, appare divisa e diverse sono le letture della formula di chiusura predisposta dalla norma regolamentare e del conflitto di interessi che ne ha giustificato l’adozione. Al centro vi è il valore (ex se liberatorio o meno) della dichiarazione resa dal legale rappresentante di una società con la quale attesti il possesso «di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari», in presenza di circostanze che evidenziano il rischio che tale possesso non sia esistente ma solo dichiarato.

Da un lato si osserva che l’art. 31 «non onera la banca di accertare la veridicità della dichiarazione resa», non potendo quest’ultima «sconfessare» quanto dichiarato da un soggetto che, per la carica rivestita, si presume essere consapevole dei relativi effetti. L’attestazione scritta ex art. 31, 2º co., come risulta dal tenore letterale, non deve essere necessariamente collegata a una specifica esperienza pregressa, sicché la dichiarazione resa dal soggetto qualificato (legale rappresentante) non può essere posta nel nulla dalla banca con un’operazione «che suonerebbe quasi come una sconfessione delle attestazioni altrui, una iper-tutela a sostegno di chi si presenta come oggettivamente (per la carica) e soggettivamente (per la dichiarazione in sé) del tutto consapevole dei rischi». Pertanto, l’assenza di un effettivo possesso della speciale competenza rileva nei soli rapporti interni alla società  in termini di responsabilità per i danni cagionati dalla sottoscrizione infedele della dichiarazione.

Altre pronunce rilevano che i requisiti di competenza ed esperienza in materia finanziaria devono risultare «in possesso» del cliente: tale circostanza assume valore di “prerequisito” rispetto alla dichiarazione (di scienza), necessaria ma non sufficiente, per di più ove si tratti dell’utilizzo di un modulo predisposto dalla banca. L’investitore, in altre parole, deve possedere effettivamente la specifica competenza, pur restando aperto il problema del bilanciamento tra l’esigenza di effettività e l’ampiezza dell’obbligo dell’intermediario di indagare la veridicità  dell’attestazione. Con l’obiettivo di fornire una risposta il più possibile equilibrata, parte della giurisprudenza ha fatto riferimento alla sussistenza di fatti (operazioni o negozi) che attestino il possesso della specifica esperienza da allegare e riportare nella dichiarazione. Sicché l’attestazione ex art. 31, 2º co., Reg. Consob n. 11522/1998 è idonea a sollevare l’intermediario da ogni onere probatorio a condizione che contenga precisi elementi indicativi della qualifica dell’operatore. In mancanza, la stessa può valere come prova semplice, rimessa al libero apprezzamento del giudice.

In contrasto giurisprudenziale, risolto dalla Cassazione con la pronuncia in analisi, consiste nell’individuare  un bilanciamento  tra le esigenze di flessibilità, efficienza e rapidità del traffico giuridico, con la regolamentazione del settore dell’intermediazione finanziaria e la predisposizione di strumenti di protezione dell’investitore, considerata la complessità dell’oggetto di negoziazione e i rischi che possono derivarne. Vero è che la formulazione dell’art. 31 2º co., Reg. Consob n. 11522/1998 legittima interpretazioni orientate a garantire forme di controllo sostanziale. D’altra parte non rientra nella previsione normativa, ne´ sarebbe conforme alla ratio, l’attribuzione in testa all’intermediario di un generico obbligo di indagare  ed accertare la veridicità della dichiarazione resa, indagine che, priva di precisi parametri, porrebbe nel nulla l’esigenza di articolare la protezione dell’investitore.

 

 

4. La soluzione adottata dalla Suprema Corte: il riparto dell’onere probatorio.

 

La doglianza della società ricorrente investe l’attribuzione effettuata dai Giudici di Appello della natura di operatore qualificato in forza della sola sottoscrizione di un documento predisposto dalla banca (ex art. 13 Regolamento 5387/1991), senza un’indagine di merito quanto all’effettivo possesso della specifica competenza ed esperienza in materia di intermediazione mobiliare. Si sottopongono così all’esame della Cassazione le argomentazioni proprie dell’orientamento “sostanziale” giacché si osserva che la mera attestazione non è idonea ex se ad attribuire natura costitutiva dello status di operatore qualificato, occorrendo anche la presenza di requisiti sostanziali. Nel caso di specie, lamenta la ricorrente, la società non è da considerare operatore abituale e neppure occasionale del mercato dei valori mobiliari e, d’altra parte, il documento predisposto dalla banca consiste in un generico modulo prestampato, inidoneo a disapplicare la norma primaria, realizzandosi altrimenti un’ingiustificata limitazione di responsabilità dell’intermediario in contrasto con i principi fissati dalla legge delega.

La Suprema Corte rigetta suddetto motivo di ricorso e corregge in parte la motivazione in diritto della sentenza di Appello quanto alla rilevanza e all’efficacia della dichiarazione di operatore qualificato.

Osserva la Cassazione che la disposizione regolamentare del 1991 (così come quella del 1998 stante il medesimo tenore letterale) richiede, ai fini dell’attribuzione della natura di operatore qualificato, la contemporanea presenza di due requisiti: uno di natura sostanziale (la specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari in capo al soggetto società o persona giuridica); l’altro, di carattere formale, ovvero l’espressa dichiarazione di possedere la competenza ed esperienza richieste, sottoscritta dal legale rappresentante. La ratio della norma – e l’equilibrio tra le esigenze di flessibilità del mercato e protezione dell’investitore –  è reperita nel richiamare l’attenzione del cliente circa l’importanza della dichiarazione e nell’affrancare l’intermediario da un generico obbligo di compiere specifici accertamenti di fatto. D’altra parte, la disposizione non consente di dedurre la necessità di una rispondenza tra il contenuto della dichiarazione e l’effettiva situazione di fatto, né è sancito a carico dell’intermediario alcun onere di riscontro della veridicità della dichiarazione stessa. La cui mancata corrispondenza al vero rileva nei rapporti interni alla società in termini di responsabilità per i danni cagionati dalla sottoscrizione infedele da parte del legale rappresentante.

La Cassazione prende dunque le mosse da una lettura orientata a forme di protezione sostanziale dell’investitore (come risulta dal requisito dell’effettivo possesso di specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari) bilanciata dal bisogno di sicurezza in ordine all’estensione degli obblighi di accertamento in testa all’intermediario. Ed è il profilo probatorio l’aspetto che appare dirimente nella soluzione della problematica interpretativa: le esigenze di astratto bilanciamento e le prese di posizione volte a garantire protezione effettiva all’investitore, a ben vedere, si risolvono e trovano concretizzazione  proprio tramite un corretto ed efficace riparto degli oneri di prova.

Se così è, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione in possesso dell’intermediario, la dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante – osserva la Suprema Corte – è tale da esonerare l’intermediario stesso dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto. Spetta poi alla  parte interessata dedurre e dimostrare specifiche e contrarie allegazioni al fine di escludere la sussistenza in concreto della propria competenza ed esperienza in materia di valori mobiliari: dovrà essere adempiuto, in altri termini, l’onere di provare “circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti” e la conoscenza da parte dell’intermediario di dette circostanze o la loro “agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi di riscontro, già nella disponibilità dell’intermediario stesso o a lui risultanti dalla documentazione prodotta dal cliente”. Onere che, nella fattispecie, non è stato assolto.

Più precisamente, l’attestazione scritta non costituisce dichiarazione confessoria giacché ex art. 2730 c.c. è volta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza di un fatto obiettivo tuttavia costituisce argomento di prova che il giudice – nell’esercizio del suo potere di valutazione del materiale probatorio ed apprezzando il complessivo comportamento processuale e extraprocessuale delle parti (art. 116 c.p.c.) – “può porre a base della propria decisione, anche come unica e sufficiente fonte di prova in difetto di ulteriori riscontri” sia per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della natura di operatore qualificato, sia ai fini dell’accertamento della diligenza dell’intermediario nel svolgere tale indagine.

Il ragionamento dei Giudici di legittimità ha il pregio, affatto secondario, della certezza quanto all’estensione degli obblighi informativi e di condotta in testa alle parti, certezza che si realizza tramite una precisa allocazione dell’onere probatorio. E sotto questo aspetto la valutazione è opportunamente pragmatica e concreta. L’insufficienza del solo requisito formale costituito dalla dichiarazione scritta e l’affermazione della contemporanea presenza anche di uno sostanziale (l’effettivo possesso della competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari) possono condurre a difficoltà applicative e incertezze, circostanza avvalorata dal contenzioso che ancora impegna la giurisprudenza di merito. Del ché l’esigenza di un bilanciamento – affermata in astratto – è recuperata – in concreto – sul piano probatorio: la Suprema Corte stabilisce infatti precise regole quanto alla ripartizione di suddetto onere, regole che inevitabilmente incidono sulla effettiva realizzazione delle posizioni soggettive sostanziali. Tale indice, ad un’attenta analisi, è espressione della più ampia attenzione rivolta dalla recente giurisprudenza di legittimità al profilo dell’articolazione dell’onere probatorio, quale strumento di gestione e attuazione delle situazioni soggettive.  Basti considerare, da ultimo,  la pronuncia della Cassazione a sezioni unite ove si è precisato che, in mancanza di previsione univoche del legislatore, l’interprete nella “ricostruzione della fattispecie sostanziale e nella conseguente ripartizione dell’onere della prova” deve “utilizzare il criterio della maggiore vicinanza o disponibilità della prova”, criterio ricostruito alla luce dei principi desumibili dall’art. 24 Cost.

Cass., 26 maggio 2009, n. 12138

 

NOTE

 

(1) Più precisamente, il 2º co. della norma, sostituito con delibera n. 13710 del 6.8.2002, così disponeva: «Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità  stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché  ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante».

(2) Per ulteriori osservazioni, v. S. MEUCCI, La classificazione della clientela ed il nuovo regime introdotto dalla MiFID. Dall’operatore qualificato al cliente professionale su richiesta, in http://www.personaemercato.it/.

(3) Considerando n. 31 della direttiva 2004/39/CE.

(4) Sia consentito rinviare a S. MEUCCI, “Operatore qualificato” nei contratti derivati: le incertezze della recente giurisprudenza e l’impatto della direttiva MiFID, Obbl. Contr., 2008, 4, p. 341 ss.

(5) I criteri sono i seguenti: «- il cliente ha effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; – il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare euro 500.000; – il cliente lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti. In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra e` condotta con riguardo alla persona autorizzata ad effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima».

(6) Così, l’allegato 3, sezione II.2 Reg. Consob n. 16190/2007.

(7) In tema, F.SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, 191 ss.; D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002.

(8) In ogni caso, nei contratti di investimento con operatori qualificati trovano applicazione i principi e le  regole di condotta stabiliti dall’art. 21 t.u.f., finalizzati a rafforzare le previsioni generali disposte in tema di adempimento delle obbligazioni.

(9) V. Trib. Milano 3 aprile 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 36; Trib. Trento, 28 settembre 2006, n. 927; Trib. Vicenza, 17 agosto 2007; Trib. Ancona, 18 febbraio 2007, n. 243, reperibili sul sito www.Ilsole24ore; Trib. Milano, 20 luglio 2006, n. 8969, in Nuova giur. comm., 2007, I, 809, con nota di Tommasini e App. Milano, 12 ottobre 2007, n. 2709 in Giur. It., 2008, 1164; Trib. Forlì 11 luglio 2008, in www.ilcaso.it; Trib. Venezia 25 ottobre 2007;  ivi, I, 668. In dottrina, v. Bochicchio, Operatività in strumenti derivati con investitore professionale: i limiti apportati dalla normativa di settore e dall’oggetto sociale dell’investitore,  Dir. banca int. fin., 2005, 249. 

(10) Trib. Milano, 20 luglio 2006, n. 8969, cit. La giurisprudenza milanese con quest’ultima sentenza ha modificato il precedente orientamento. Cfr. al riguardo Trib. Milano, ord. 21 febbraio 1995, in Giur. comm., 1996, II, 79 ove si è dichiarata l’inefficacia della dichiarazione ex art. 31, 2º co., Reg. Consob n. 11522/1998.

(11) Trib. Vicenza, 17 agosto 2007, cit.

(12) Trib. Torino, 18 settembre 2007, n. 5928 e n. 5930, in Giur. It., 2008, con nota di Motti, L’attestazione della qualità di operatore qualificato nelle operazioni in strumenti derivati fra banche e società non quotate; più di recente, v. App. Milano, 13 novembre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1451; App. Venezia, 16 luglio 2008, in ivi, I, 1329; Trib. Vicenza, 12 febbraio 2008, in Giur. It., 2008, 2235; Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, in Giur. It., 2008, 2235; Trib. Novara, 18 gennaio 2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, II, 57, con nota di Lemma, L’operatore qualificato nelle operazioni in derivati; Trib. Verona, 22 giugno 2007, in Contratti, 2007, 1093.

(13) Al riguardo, V. INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B. INZITARI, 2008, Padova, p. 85 ss.; v. CHIONNA, L’accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato finanziario rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 36; SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004, 168; P. FIORIO, La nozione di investitore qualificato per l’investitore persona giuridica, in Giur. It., 2008, 2241.

(14) Cfr. da ultimo Cass., 6 giugno 2006 n. 13212, in D&G – Dir. e giust. 2006, 33, 32; in senso conforme, v.  Cass. 29 settembre 2005 n. 19165, in Giust. civ. Mass. 2005, 7/8; Cass. 15 novembre 2002 n. 16127, in Giust. civ. Mass. 2002, 1990

(15) In tema di prova e, segnatamente, con riguardo al valore probatorio del contegno e delle dichiarazioni delle parti ex art. 116 c.p.c. v. Cass. 16 luglio 2002,  n. 10268, Giust. civ. Mass. 2002, 1226 la cui massima stabilisce che “l’art. 116 c.p.c., che attribuisce al giudice il potere di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale delle parti, va inteso nel senso che tale comportamento non solo può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma può anche costituire unica e sufficiente fonte di prova”.

(16) Al riguardo,  G. Vettori, Diritto contrattuale europeo, rimedi di terza generazione e diritto del lavoro, Giornale dir. lav. Relaz. Ind., 2008, 30, p. 207 ss.; Id.,  Rimedi di «terza generazione» e diritto del lavoro, in Diritto privato e ordinamento comunitario, in corso di pubblicazione per la casa editrice Giuffrè.

(17) Cass. 10 gennaio 2006 n. 141 in Foro it., 2006, I, 704.

Cass., 26 maggio 2009, n. 12138

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