ISSN 2239-8570

La chiusura delle Sezioni Unite sulla compensabilità del credito controverso, di Federico Pistelli


DOCUMENTI ALLEGATI

1.  La natura della questione; 2.Presupposti codicistici ed evoluzione giurisprudenziale; 3.Il revirement della Sez. III; 4.L’ordinanza di rimessione e l’arresto delle Sezioni Unite;

 

  1. Nell’istituto civilistico della compensazione, quale fattispecie estintiva dell’obbligazione diversa dall’adempimento, si realizza una commistione fra regole sostanziali e disciplina processualistica, che negli ultimi mesi ha dato adito a profondi contrasti in seno alla giurisprudenza di legittimità, tali da provocare la rimessione degli atti al Primo Presidente (ord. 11 novembre 2015, n.18001), per valutare l’opportunità di una presa di posizione da parte delle Sezioni Unite (15 novembre 2016, n. 23225).

La cifra della questione è chiara e concretizza a pieno quella funzione di ius constitutionis, che il legislatore sembra aver voluto valorizzare, da ultimo, con l’intervento normativo della Lg. 197/2016 (per approfondimenti, Scarselli, Sulla distinzione fra ius constitutionis e ius litigatoris, in Questione Giustizia, 13 gennaio 2017): le Sezioni Unite hanno infatti colto l’occasione di concentrarsi esclusivamente sulla questione di diritto che costituiva la trama di una controversia nella quale entrambe le parti erano «d’accordo sulla circostanza che i rispettivi titoli costitutivi sono divenuti incontrovertibili prima della sentenza di primo grado», con conseguente venir meno della materia del contendere. Ciò detto, i giudici ermellini ritengono comunque necessario ricucire lo strappo provocato, pochi anni prima, dalla Sez. III all’uniforme tessuto giurisprudenziale sul problema della compensabilità del credito controverso, ribandendo che «la compensazione giudiziale, di cui all’art.1243 c. II c.c. (…) non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo». 

     2. La disciplina codicistica è chiara nel sottoporre la compensabilità di un credito alla contemporanea sussistenza di tre requisiti (cfr. art. 1243 c.c.): omogeneità (somma di denaro o cose della stessa natura), esigibilità (non sottoposto a termine o condizione) e liquidità. È questo ultimo elemento che, nel contesto applicativo, ha assunto accezioni diverse essendo, secondo taluni, esclusivamente riferibile ad una determinazione del quantum del credito (liquido o di facile e pronta liquidazione, nella compensazione giudiziale) mentre, secondo altri, esteso alla dimensione della certezza -processualmente o stragiudizialmente comprovata – della sua esistenza. L’orientamento inaugurato da una pronuncia dei primi anni ’90 (cfr. Cass., 14 gennaio 1992, n.325) e confermato da tutte le decisioni successive ha sistematicamente escluso che l’eccezione di compensazione possa aver ad oggetto crediti contestati nell’an o nel quantum – con l’unico temperamento della natura pretestuosa della contestazione (come opportunamente sottolineato da Cass., S.S. U.U., 5 giugno 1975, n.2234). La natura controversa del credito avrebbe di conseguenza l’effetto di impedire non solo l’operatività della compensazione cd. legale, ma anche di escludere che, in questi casi, l’accertamento del giudice sul credito possa qualificarsi di “facile e pronta liquidazione” (come nell’ipotesi in cui occorra espletare esclusivamente operazioni matematiche di conteggio, senza alcuna ulteriore istruttoria).

    3. È invece nel solco di un’opposta interpretazione che deve essere collocata la decisione della Sez. III, all’origine dei sopra esposti contrasti (cfr. Cass., 17 settembre 2013, n. 23573). Mossa dal proposito di superare un possibile impasse circa la sovrapposizione della fattispecie di compensazione legale con quella giudiziale, la Corte offre un prontuario di soluzioni per favorire la deduzione in compensazione di un credito controverso, attraverso lo strumentario delle disposizioni processual-civilistiche sulla connessione e la sospensione (cfr. artt. 34, 35, 40, 295, 337 c.p.c.). La linea argomentativa del giudice di legittimità segue un filo logico piuttosto complesso, ma perviene ad un risultato chiaro: «La circostanza che l’accertamento di un credito sia oggetto di altro giudizio pendente, e non ancora definito con il suo riconoscimento in forza di cosa giudicata, non è d’ostacolo alla possibilità che il suo titolare lo eccepisca in compensazione». La strada percorribile è duplice. Qualora i giudizi pendano di fronte allo stesso ufficio, questi potranno essere riuniti (art. 40 c.p.c.) e decisi con il meccanismo ex art. 1243 c. II c.c. (disponendo la condanna per la parte di controcredito riconosciuta, o sospendendo il credito principale fino all’accertamento giudiziale di quello opposto); dove non sia possibile la riunione, entra in gioco l’art. 35 c.p.c. per consentire la condanna con riserva sul credito principale con conseguente sospensione del giudizio (art. 295 e 337 c.p.c.) fino all’accertamento definitivo del controcredito.

Gli effetti negativi di questo contrasto non tardano a presentarsi: nel corso del 2016, due importanti decisioni in sede di legittimità assumono posizioni diametralmente opposte, l’una – curiosamente della stessa Sez. III (Cass., 28 giugno 2016, n. 13279) – affermando che «la litigiosità del controcredito è condizione ostativa ad entrambi i tipi di compensazione legale e giudiziale», l’altra (Cass., Sez. II, 27 giugno 2016, n. 13244) sostenendo che «La compensazione giudiziale prevista dall’art. 1243, comma secondo, c.c. (…) non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso».

    4. È su questo sfondo che va pertanto a giustapporsi la presa di posizione delle Sezioni Unite a favore dell’esclusione della compensabilità di un credito incerto nell’an, al pari del credito di non pronta e facile liquidazione. Di rilievo fondamentale è difatti la precisazione della Suprema Corte secondo cui «la liquidità attiene all’oggetto della prestazione, mentre la certezza attiene all’esistenza dell’obbligazione, e quindi al titolo costitutivo del credito (…)» : il comma II dell’art. 1243 c.c. riconosce al giudice un potere “discrezionale” – quello di garantire l’operatività compensativa di un credito di facile e pronta liquidazione – alla base del quale sta però il presupposto che «il controcredito debba essere certo nella sua esistenza e cioè non controverso». Non è ravvisabile alcun contrasto fra la disciplina dell’art. 1243 c.c. e l’art. 35 c.p.c. in quanto entrambi «prevedono che a decidere i contrapposti crediti sia il giudice dinanzi al quale essi sono contemporaneamente dedotti», ma il meccanismo previsto da questa seconda disposizione trova applicazione «solo nel caso in cui il giudice del credito principale non possa conoscere di quello opposto in compensazione». Attraverso tale impianto argomentativo, il giudice di legittimità riafferma con decisione l’orientamento precedente al revirement della Sez. III, sentenziando in massima che «se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale». A livello processuale, deve aggiungersi che «l’articolo 35 rappresenta un’ipotesi in cui ai sensi dell’art. 34 “per legge” è necessario l’accertamento con autorità di cosa giudicata della questione pregiudiziale (…) In altri termini, dedotto in giudizio un credito, ove il convenuto eccepisca l’esistenza di un controdiritto e questo venga contestato dall’attore, il giudice “per legge” deve conoscere con efficacia di giudicato di questo fatto-diritto estintivo pregiudizievole al diritto fatto valere in giudizio» (cfr. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2012, 338).

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