ISSN 2239-8570

La classificazione della clientela ed il nuovo regime introdotto dalla MiFID. Dall’operatore qualificato al cliente professionale su richiesta, di Serena Meucci

  Dottore di Ricerca e Assegnista in Diritto civile – Università di FirenzeD. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – Testo aggiornato con le modifiche apportate dal d. lgs. n. 164 del 17 settembre 2007 (MiFID), dal d.lgs. n. 195 del 6 novembre 2007 e dal d.lgs. n. 229 del 19.11.2007Regolamento Consob recante norme di attuazione del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 1. la classificazione della clientela nel sistema antecedente all’attuazione della MiFID. La nozione di “operatore qualificato” ed il contrasto giurisprudenziale.Nel sistema precedente alla recente attuazione della direttiva MiFID, l’impostazione del Testo unico del 1998 (segnatamente l’art. 6 e l’art. 23, quanto alla forma dei contratti) già si caratterizza per un’articolazione della tipologia di investitore alla quale corrisponde un diverso livello di tutela, al fine di contemperare la protezione del cliente con le esigenze di flessibilità e di rapidità dei rapporti. Tale novità di fondo, assente nella legge 1/1991, è stata introdotta dalla Investiment Services Directive (Direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993) che ha contribuito in modo significativo alla modernizzazione dei mercati finanziari.L’esigenza perseguita è quella di razionalizzare il mercato, evitando l’applicazione di norme dispendiose a clienti “esperti” e qualificati attraverso una semplificazione dei rapporti. La ratio a fondamento dell’articolazione della clientela va dunque reperita nella irragionevolezza (nonché anti-economicità) del mantenimento di una tutela particolarmente pregnante per soggetti qualificati e dotati di specifica conoscenza del mercato e dei servizi finanziari. In questi casi manca, rectius, è colmata l’asimmetria informativa che giustifica la consistente previsione in tema di obblighi informativi e di condotta a tutela del cliente.L’articolazione della clientela opera in due direzioni: cliente al dettaglio, per il quale le tutele e gli obblighi informativi e di condotta in testa alla banca sono pieni; operatore qualificato, con riferimento al quale sono sancite rilevanti disapplicazioni.Il riferimento normativo è rappresentato dall’art. 31 del Regolamento Consob sugli intermediari adottato con delibera 11522 del 1° luglio 1998, in attuazione dell’art. 6 comma 2 del T.u.f. che ha demandato alla Consob il compito di disciplinare il rapporto con i clienti, “tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l’esperienza professionale dei medesimi”.Il dato letterale fornito dell’art. 31 comma 2 del citato Regolamento giustappone accanto a particolari e ben determinate tipologie di soggetti[1], la seguente formula di chiusura, assai ampia: “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.L’operazione di inserimento di un ente nel quadro degli operatori qualificati è tutt’altro che neutra, come risulta chiaramente dall’art. 31 comma 1 del Regolamento 11522/1998[2].Più precisamente, sono previste consistenti deroghe circa gli obblighi di informazione sia di carattere attivo (da fornire al cliente) che passivo (c.d. know your customer rule) [3]. Un esempio tra i più significativi concerne la valutazione di adeguatezza (suitability). Ai sensi dell’art. 29 del Regolamento del 1998 la banca è tenuta ad astenersi dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni “non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione”, sulla base delle informazioni ottenute dall’investitore elencate all’art. 28, comma 1.Vi è di più. L’affievolimento delle tutele derivanti dalla qualifica di “operatore qualificato” incide in modo particolarmente significativo in materia di conflitto di interessi (art. 27 del Regolamento Consob 11522/1998) e di best execution (art. 32 comma 3 del medesimo Regolamento).In ogni caso, nei contratti di investimento con “operatori qualificati” trovano applicazione i principi e le regole di condotta stabiliti dall’art. 21 del T.u.f., finalizzati a rafforzare le previsioni generali disposte in tema di adempimento delle obbligazioni.Ciò posto, il problema interpretativo consiste nel valore della dichiarazione resa dal legale rappresentante di una società con la quale attesti il “possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari” ai sensi dell’art. 31 del regolamento intermediari del 1998, assurgendo così allo status di “operatore qualificato”. Tale ampia formulazione ha sollevato varie perplessità in dottrina a fronte dei rischi di un utilizzo non pienamente corretto della norma[4]. Né i dubbi interpretativi si sono dissolti con l’applicazione e l’analisi giurisprudenziale. I Giudici di merito si mostrano divisi in due orientamenti sorretti da una diversa lettura della formula di chiusura e del conflitto di interessi che ne ha giustificato la (non del tutto felice) adozione.Le sentenze alle quali ci riferiamo, alcune delle quali inedite, riguardano fattispecie concrete analoghe; merita, seppur brevemente, ripercorrerle.Motivo del contendere è rappresentato dalla stipulazione tra la banca ed un cliente persona giuridica (normalmente società piccole o medie delle quali, del resto, è composta la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano) di contratti di interest rate swap (Irs) negoziati su mercati non regolamentati (c.d. OTC, ovvero over the counter). Si tratta di strumenti finanziari derivati che mirano a far fronte al fenomeno della variabilità dei tassi di interesse sulle operazioni finanziarie dell’impresa.Il contratto di swap sugli interessi si fonda sull’impegno delle parti a corrispondersi reciprocamente – a determinate scadenze – somme di denaro calcolate applicando due diversi parametri ad un identico ammontare di riferimento (capitale nozionale). I parametri possono essere i più vari a seconda del tipo di contratto. Nelle fattispecie concrete il riferimento è dato per una parte (la banca) sulla base di un tasso di interesse fisso, e per l’altra (la società attrice), sulla base di un tasso variabile. L’oggetto dell’Irs è dunque da ravvisare nel differenziale sui tassi di interesse applicati al capitale nozionale. La causa che normalmente caratterizza questi contratti è la copertura da rischi di oscillazione dei tassi di interesse e, più precisamente, l’assicurazione contro il pericolo di aumento dei tassi sui finanziamenti già concessi dalla banca (c.d. hedging). Possono assumere inoltre causa squisitamente speculativa (c.d. trading), come alcune delle fattispecie concrete, con un livello di rischio assai elevato.I contratti di Interest rate swap di cui alle citate pronunce hanno provocato ai clienti perdite assai ingenti. Circostanza fondamentale è che i legali rappresentanti delle società clienti avevano tutti sottoscritto e consegnato alla banca la dichiarazione – predisposta dalla banca medesima – resa ai sensi dell’art. 31 comma 2 del Regolamento 11522/1998.Ciò ha significato per gli intermediari il rispetto dei soli doveri generali di trasparenza, correttezza e diligenza (art. 21 Testo unico del 1998) e la disapplicazione degli obblighi assai più pregnanti di valutazione della adeguatezza fra le caratteristiche degli strumenti derivati proposti e la propensione al rischio, la situazione patrimoniale e le conoscenze in materia di investimenti finanziari (art. 29 del Regolamento 11522/1998).La doglianza delle società attrici consiste, tra l’altro, nel negare l’idoneità della mera dichiarazione resa dal legale rappresentante priva di riscontro obiettivo a incidere così profondamente sulle tutele. Sicché, sul presupposto della non corretta – e quindi irrilevante – classificazione come operatore qualificato, si contesta alla banca la violazione dell’art. 21 del Testo unico e di alcune norme del regolamento Consob del 1998 relative ad obblighi di informazione e di adeguatezza dell’investimento.Va considerato altresì che nelle fattispecie i contratti di Irs risultavano essere i primi investimenti in strumenti finanziari derivati sottoscritti dalle società attrici e che si trattava di investimenti con un alto livello di rischio.D’altra parte, il mercato dei derivati e, in particolare, degli Irs negoziati su mercati non regolamentati (OTC) presenta forti peculiarità che ne rendono il funzionamento profondamente diverso da quello dei mercati di altri strumenti finanziari. L’assenza di una controparte che garantisce il buon fine delle operazioni comporta per l’investitore l’assunzione di rischi elevati. Inoltre, la presenza di clausole assai articolate e di non immediata comprensione rende complessa la valutazione del profilo di rischio-rendimento ed il basso livello di standardizzazione dei contratti riduce fortemente la possibilità di circolazione e trasferimento dello strumento finanziario. Insomma, “una partecipazione “consapevole” al mercato dei derivati OTC richiede elevate competenze finanziarie e sofisticate capacità di gestione dei rischi”[5].Come anticipato, il problema del valore da attribuire alla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 31 del Regolamento Consob 11522/1998, quale certificazione ex se liberatoria per la banca ovvero attestazione autoreferenziale insufficiente, non ha trovato soluzioni univoche in giurisprudenza. Al contrario, gli orientamenti sono duplici.Da un lato si osserva[6] che l’art. 31 “non onera la banca di accertare la veridicità della dichiarazione resa”, non potendo quest’ultima “sconfessare” quanto dichiarato da un soggetto che, per la carica rivestita, risulta legittimato ad impegnare validamente la società e che si presume essere consapevole dei relativi effetti, pena il rischio di “una iper-tutela a sostegno di chi si presenta come oggettivamente (per la carica) e soggettivamente (per la dichiarazione in sé) del tutto consapevole dei rischi”[7]. Del ché l’assenza di un possesso “effettivo” della speciale competenza rileva nei soli rapporti interni alla società in termini di responsabilità per i danni cagionati dalla sottoscrizione infedele della dichiarazione.Altre pronunce rilevano che i requisiti di competenza ed esperienza in materia finanziaria devono risultare “in possesso” del cliente: tale circostanza viene ad assumere il valore di “pre-requisito” rispetto alla dichiarazione (di scienza), necessaria ma non sufficiente, per di più ove si tratti dell’utilizzo di un modulo predisposto dalla banca[8]. L’investitore, in altre parole, deve possedere effettivamente la specifica competenza, pur restando aperto il problema – al quale i Giudici tentano di trovare una risposta efficace – del bilanciamento tra l’esigenza di effettività e l’ampiezza dell’obbligo dell’intermediario di indagare la veridicità dell’attestazione.Ad ogni modo, è il tenore letterale della norma a suscitare perplessità. Nell’ambito di una disposizione tendenzialmente rigida e tassativa, il riferimento alla mera dichiarazione scritta del legale rappresentante appare inadeguato ed ingiustificato in quanto prescinde da un accertamento concreto [9]. Non viene predisposto un efficace meccanismo di tutela per il cliente meno informato che sottoscriva la dichiarazione senza essere in grado di valutare pienamente le conseguenze degli impegni assunti. Tale circostanza e un’interpretazione formale e letterale della disposizione possono condurre a comportamenti opportunistici da parte della banca, considerata la fisiologica asimmetria informativa tra le parti.Se, da un lato, lo squilibrio (ed i connessi obblighi informativi e di condotta) si riduce in caso di specifiche competenze dell’investitore, dall’altro non sembra ragionevole attribuire in toto la responsabilità della scelta e della relativa portata in testa all’investitore “società o persona giuridica”, soggetto meno in grado di comprenderne la portata e di internalizzare i costi di una dichiarazione sbagliata. Il valore confessorio della dichiarazione in oggetto, priva di effettività, risulta altresì escluso dalla inammissibilità di una rinuncia preventiva ai meccanismi di tutela predisposti ex lege[10].Il vero snodo problematico consiste dunque nell’individuare – nel silenzio della norma – un bilanciamento tra le esigenze di flessibilità, efficienza e rapidità del traffico giuridico, con la regolamentazione del settore dell’intermediazione finanziaria e la predisposizione di efficaci tutele e strumenti di protezione dell’investitore, considerata la complessità dell’oggetto di negoziazione ed i rischi che possono derivarne[11]. Ciò trova una prima risposta nella premessa di fondo risultante dalle considerazioni sistematiche già svolte, ovvero la necessaria effettività del possesso della specifica competenza dichiarata.Con l’obiettivo di fornire una risposta il più possibile equilibrata ed obiettiva alla questione, parte della giurisprudenza ha fatto riferimento alla sussistenza di fatti (operazioni o negozi) che attestino il possesso della specifica esperienza e competenza da allegare e riportare nella dichiarazione. Sicché, l’attestazione ex art. 31 comma 2 del Regolamento 11522/1998 assume valenza confessoria (ergo idonea a sollevare l’intermediario da ogni onere probatorio), a condizione che contenga precisi elementi indicativi della qualifica dell’operatore. In mancanza, la stessa può valere come prova semplice, rimessa al libero apprezzamento del giudice.2. La nuova disciplina degli intermediari e dei mercati: la MiFID ed il regolamento della Consob adottato con delibera 16190 del 29 ottobre 2007.Il problema interpretativo può dirsi superato con la recentissima attuazione della direttiva MiFID e l’adozione di un nuovo regolamento da parte della Consob che ridisegna l’intera disciplina della tutela dell’investitore e, più precisamente, introduce un nuovo modello di classificazione della clientela.Il nostro ordinamento in queste ultime settimane ha dato attuazione al complesso sistema di derivazione comunitaria (c.d. MiFID), modificando il Testo unico del 1998 (d. lgs. 164/2007) e predisponendo le previsioni regolamentari di attuazione.Ai fini che qui interessano, il riferimento è al Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 recante norme di attuazione del T.u.f. in materia di intermediari, che ha abrogato e sostituito in toto il regolamento 11522/1998.L’obiettivo a fondamento del nuovo sistema è efficacemente individuato dalla Direttiva MiFID 2004/39/CE nella protezione degli investitori: “le misure destinate a proteggere gli investitori devono essere adeguate alle specificità di ciascuna categoria” di soggetti[12].In coerenza a tali finalità, si predispone una triplice articolazione della figura del cliente, intesa quale “persona fisica o giuridica alla quale vengono prestati servizi di investimento o accessori” in: 1) controparti qualificate; 2) clienti professionali (privati e pubblici; di diritto o su richiesta); 3) clienti al dettaglio.Il nuovo art. 6 comma 2 quinquies del Testo unico del 1998 (introdotto dal D. lgs.164/2007) attribuisce alla Consob, sentita la Banca d’Italia, la competenza in ordine all’individuazione dei clienti professionali privati nonché i criteri per l’identificazione di quei soggetti che possono richiedere di essere trattati come tali. Il sistema si completa con le norme introdotte dal Regolamento Consob con delibera 16190 del 29 ottobre 2007 in tema di intermediazione.Per ciascuna categoria è prevista una graduazione di intensità degli obblighi informativi e di condotta in testa all’intermediario: applicazione integrale delle regole per il cliente al dettaglio; disapplicazione assai ampia per le controparti qualificate; disapplicazione meno estesa per i clienti professionali. Per questi ultimi, il diverso regime riguarda, tra l’altro, gli obblighi informativi (artt. 29 ss. Regolamento Consob 16190/2007); l’introduzione di presunzioni per quanto concerne la valutazione di adeguatezza (art. 40 Regolamento) ed appropriatezza (art. 42); l’incidenza sulle valutazioni effettuate dall’intermediario per realizzare il miglior risultato possibile per i clienti (best execution – art. 45 Regolamento); l’esclusione del carattere “di comunicazione a distanza” delle attività di promozione e collocamento svolte nei confronti dei clienti professionali (art. 79), e così via.Vediamo più in dettaglio la classificazione.Le controparti qualificate sono individuate nel nuovo art. 6 comma 2 quater T.u.f. (introdotto dal D. lgs. 164/2007[13]) e, in parte, all’art. 58 comma 2 del Regolamento Consob[14]. Rientrano in questa categoria, per esempio, le banche, le imprese di assicurazioni, le SGR, i fondi pensione, gli intermediari finanziari, le fondazioni bancarie, i Governi nazionali e così via. Si tratta della tipologia di clienti per i quali la disapplicazione degli obblighi di condotta e informativi in capo all’intermediario è sancita in modo più intenso[15].Sul versante opposto vi sono i clienti al dettaglio (clientela retail), individuati in via residuale come quei soggetti per i quali non sussistono i requisiti né delle controparti qualificate né dei clienti professionali. Per essi, le tutele sono piene e trovano applicazione tutti gli obblighi informativi e di condotta predisposti a livello di normativa primaria e secondaria.La categoria che più interessa in comparazione con la situazione previgente è quella dei c.d. clienti professionali, i quali, cioè, possiedono “l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assumono”[16].In forza della competenza ad essa attribuita dal nuovo art. 6 comma 2 quinquies del Testo Unico del 1998, la Consob ha articolato tale tipologia di clientela in due tipi: clienti professionali “di diritto[17] e clienti professionali “su richiesta” (così, l’allegato 3 al Regolamento intermediari 16190/2007) .Rientrano nella prima categoria – previsione in parte anticipata da alcune sentenze della giurisprudenza di merito[18] – anche le imprese di grandi dimensioni che superano certi valori di fatturato, di bilancio o di fondi propri, valutati in base ad un’indagine riferita alla singola società investitrice e non alla struttura di gruppo della quale faccia eventualmente parte. La ratio di tale previsione è chiara: la “grande dimensione” dell’impresa fa presumere che la stessa sia dotata di una organizzazione interna (ad esempio, uffici legali), tale da garantire un’adeguata competenza ed esperienza nei mercati finanziari.Ciò su cui occorre soffermarsi ai fini dell’evoluzione della problematica de qua concerne l’analisi della figura dei clienti professionali “su richiesta”. E’ questa la species di clienti che sotto certi aspetti si avvicina alla categoria aperta che abbiamo descritto sotto la vigenza del Regolamento Consob 11522/1998. Le novità sono tuttavia considerevoli.L’allegato 3 al regolamento della Consob 16190/2007 stabilisce che gli investitori (siano essi persone fisiche o giuridiche) non rientranti nella categoria di clienti professionali di diritto possono essere “trattati” come tali e, dunque, possono essere legittimamente disapplicate certe regole di condotta previste per la prestazione dei servizi nei confronti dei clienti non professionali, a condizione che siano rispettati due macro-tipologie di requisiti: alcuni di natura sostanziale, altri di ordine procedurale[19].Quanto ai primi, la normativa regolamentare detta un criterio distintivo di ordine generale: la disapplicazione delle regole di condotta “è consentita quando, dopo aver effettuato una valutazione adeguata della competenza, dell’esperienza e delle conoscenze del cliente, l’intermediario possa ragionevolmente ritenere, tenuto conto della natura delle operazioni o dei servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume”. E’ dunque testualmente sancito l’onere in testa alla banca di procedere ad indagini e valutazioni adeguate sul singolo investitore.Se la norma si fermasse qui, sarebbe arduo conseguire l’obiettivo della razionalizzazione del mercato: l’ampiezza del parametro e le diverse interpretazioni (più o meno restrittive) che possono essere variamente accolte in giurisprudenza incrementerebbero di fatto le incertezze e, quindi, le inefficienze.Prosegue invero la disposizione individuando tre criteri obiettivi (due dei quali) devono essere soddisfatti a fini della qualifica di “clienti professionali su richiesta”, criteri incentrati sulla frequenza delle operazioni sul mercato finanziario, sul valore del portafoglio di strumenti finanziari e sull’esperienza che deriva dall’avere lavorato nel settore in oggetto[20].Il secondo ordine di requisiti, parimenti rilevanti e strutturali, ha carattere procedurale.Affinchè il cliente sia effettivamente trattato come “professionale” è sancita una proceduta “rafforzata” il cui obiettivo è quello di stimolare l’attenzione dell’investitore sulle dichiarazioni rese e sulla loro incidenza sui meccanismi di tutela.Non è più sufficiente un’unica dichiarazione sul modello di quella prevista dall’art. 31 comma 2 del regolamento Consob del 1998. Occorre invece uno scambio di più comunicazioni: i clienti devono comunicare per iscritto all’intermediario il loro desiderio di essere “trattati come clienti professionali (a titolo generale o rispetto ad un particolare servizio od operazione di investimento); l’intermediario deve avvertire i clienti, in una comunicazione scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere; i clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni”[21].A ben vedere, ferma restando l’indagine espletata alla luce dei criteri sostanziali la quale è temporalmente e logicamente precedente al perfezionarsi della procedura, è da apprezzare la previsione relativa all’obbligo della banca di indicare le protezioni cui il cliente rinuncia, indicazione volta a realizzare una scelta consapevole da parte dell’investitore.Alla luce di quanto osservato, le profonde diversità tra il sistema previgente e quello attuale di derivazione comunitaria richiedono che sia disciplinato il regime transitorio.Il regolamento Consob del 29 ottobre 2007 all’art. 113 contempla ex professo due ipotesi: in primo luogo, i clienti già classificati quali “operatore qualificato” e che, in base ai criteri apprestati dalla MiFID, rientrano nella clientela retail; in questa ipotesi, gli intermediari sono tenuti a comunicare la diversa classificazione in occasione del primo contatto utile con il cliente o, in mancanza, non oltre il 30 giugno 2008.Negli stessi termini temporali, la banca deve comunicare indistintamente a tutti i clienti l’eventuale diritto a richiedere una diversa classificazione ed i limiti che ne deriverebbero sotto il profilo della tutela (art. 35 comma 3 – art. 113 del Regolamento).Per quanto riguarda invece i clienti privati riconosciuti dagli intermediari quali operatori qualificati ai sensi della disciplina previgente sulla base di parametri simili a quelli di cui all’Allegato 3 del Regolamento Consob 16190/2007, gli stessi possono continuare ad essere considerati clienti professionali[22].3. Alcune osservazioni.Il sistema MiFID e l’attuazione regolamentare mostrano di accogliere l’esigenza di effettività dell’esperienza e della competenza del cliente da valutare caso per caso e di tradurle in previsioni concrete: il meccanismo presuntivo è espressamente espunto ed è il legislatore a stabilire i criteri e la procedura da seguire.Ferma tale esigenza di fondo, che trova la propria ragione nella fisiologica asimmetria informativa delle parti, la tensione che sottende la pluralità degli interventi analizzati è quella di realizzare un efficace ed adeguato contemperamento con le esigenze di celerità e flessibilità del mercato, tali da non sbilanciare eccessivamente il sistema.E’ da apprezzare il riferimento a criteri precisi ed obiettivi con i quali superare le perplessità – già rilevate – che derivano dall’accoglimento di parametri vaghi ed indeterminati. Tale circostanza si dimostra indesiderabile per entrambe le parti del contratto, potendosi tradurre in indagini eccessivamente (e quindi, inefficienti) o poco (ergo, insufficienti) stringenti in testa all’intermediario, incrementando altresì il contenzioso.Ad ogni modo, le elevate soglie dimensionali previste per classificare un’impresa come “cliente professionale di diritto” ed il carattere obiettivo dei requisiti per l’applicazione “su richiesta” della disciplina meno protettiva, inducono ragionevolmente a ritenere che molte imprese che hanno sottoscritto derivati non rientrino nella categoria dei clienti professionali, con l’effetto di innalzare i livelli di tutela.Le sostanziali modifiche introdotte con l’attuazione della MiFID consentono di superare quelle incertezze in ordine alla natura ed al valore da attribuire alla dichiarazione di “operatore qualificato” che fino a poche settimane or sono hanno investito la giurisprudenza di merito, dando origine ad opposti orientamenti e ad un notevole contenzioso.Non solo. Il nuovo sistema porterà verosimilmente ad un innalzamento dei livelli di protezione, imponendo agli intermediari procedure più articolate e rigorose per la classificazione della clientela.


[1] Il comma 2 della norma, sostituito con delibera n. 13710 del 6 agosto 2002, così recita: “Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.[2] Ai sensi dell’art. 31 comma 1 del regolamento Consob 11522/1998: “A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62″.[3] V. in questo Osservatorio, S. Meucci, Obblighi informativi e tutela dell’investitore. L’evoluzione del sistema e le novità introdotte dalla MiFID.[4] M. Bessone, I mercati mobiliari, Milano, 2002, 69, il quale auspica integrazioni ed interventi da parte della Consob sulla norma de qua; F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 122 ss. Cfr. inoltre L. Ruggeri, L’operatore qualificato con particolare riguardo ai contratti di swap, in Nuova giur. comm., 2006, II, 402 ss. il quale osserva, tra l’altro, che tale formula di chiusura contrasta con la precedente elencazione normativa assai puntuale.[5] Così, l’Audizione del Direttore Generale della Consob Massimo Tezzon alla VI Commissione “Finanze” della Camera dei Deputati su “Problematiche relative al collocamento di strumenti finanziari derivati” in data 30 ottobre 2007.[6] Trib. Trento 28 settembre 2006 n. 927, Trib. Vicenza, 17 agosto 2007; Trib. Ancona 18 febbraio 2007 n. 243. reperibili sul sito www.Ilsole24ore.com. I Giudici di Ancona, in particolare, si pongono il problema che l’attestazione ex art. 31 comma 2 del Regolamento 11522/1998 possa non corrispondere a verità. A tale dubbio si risponde che detta norma “non pone alcun onere di riscontro a carico dell’intermediario in ordine all’oggettività della dichiarazione, riconducendo in sostanza alla responsabilità del legale rappresentante gli effetti di una tale dichiarazione, che costituisce, peraltro, motivo di affidamento per i terzi in quanto proveniente da un soggetto particolarmente qualificato per il ruolo ricoperto”.Cfr. inoltre Trib. Milano, 20 luglio 2006 n. 8969, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 809 con nota di Tommasini e Corte App. Milano, 12 ottobre 2007, n. 2709 (anch’essa reperibile all’indirizzo internet sopra citato) ove si rileva che il tenore letterale dell’art. 31 porta ad escludere che per le persone giuridiche il possesso dei requisiti di operatore qualificato debba essere documentato: “deve conseguentemente escludersi che gli intermediari finanziari abbiano l’obbligo di verificare l’effettiva sussistenza del possesso della specifica competenza in materia di operazioni in strumenti finanziari dichiarata dal legale rappresentante di una società”. Detta dichiarazione, osservano i Giudici di Appello, non può pertanto essere considerata una clausola di stile.[7]Trib. Milano, 20 luglio 2006 n. 8969, cit.[8] Trib. Torino, 18 settembre 2007 n. 5928 e n. 5930 in Guida al dir., 2007, n. 45, 17 novembre 2007, p. 77 ss. Nello stesso senso, Trib. Novara 18 gennaio 2007 n. 23 in www.personaemercato.it.[9] V. al riguardo la Comunicazione Consob n. DIN/1074667 del 5 ottobre 2001 ove si precisa che “l’elenco di operatori qualificati di cui all’art. 31, comma 2°, del reg. n. 11522/1998 è (…) da considerarsi non meramente esemplificativo bensì tassativo ed esaustivo. Al riguardo può peraltro rammentarsi che, con Comunicazione n. 1005770 del 25 gennaio 2001, questa Commissione ha avuto occasione di sottolineare, seppure con riferimento ad un’ipotesi di inapplicabilità della disciplina della sollecitazione all’investimento, che nel novero degli investitori professionali (categoria che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 30, comma 2° e 100, comma 1°, lett. a) del d.lgs. n. 58 del 1998 e art. 28 del reg. 11971/1999, coincide con quella degli operatori qualificati’) possono considerarsi compresi solo i soggetti espressamente indicati nell’art. 31, comma 2° del reg. n. 11522/1998”.[10] In questo senso, G. De Nova, La responsabilità dell’operatore finanziario per esercizio di attività pericolose, in Contr., 2007, 7, p. 711.[11] Chiari riferimenti in questo senso sono contenuti in Trib. Novara 18 gennaio 2007 n. 23 e in Trib. Torino 18 settembre 2007 n. 5930, sopra citate.[12] Considerando n. 31 della Direttiva. Il corsivo è mio.[13] L’art. 6 comma 2 quater del T.u.f. (introdotto dal citato d. lgs 164/2007) attribuisce alla competenza regolamentare della Consob (sentita la Banca d’Italia) l’individuazione delle norme di condotta che non si applicano ai rapporti fra intermediari e “controparti qualificate”, intendendosi per tali:”1) le imprese di investimento, le banche, le imprese di assicurazioni, gli OICR, le SGR, le società di gestione armonizzate, i fondi pensione, gli intermediari finanziari iscritti negli elenchi previsti dagli articoli 106, 107 e 113 del testo unico bancario, le società di cui all’articolo 18 del testo unico bancario, gli istituti di moneta elettronica, le fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le banche centrali e le organizzazioni sovranazionali a carattere pubblico;2) le imprese la cui attività principale consista nel negoziare per conto proprio merci e strumenti finanziari derivati su merci;3) le imprese la cui attività esclusiva consista nel negoziare per conto proprio nei mercati di strumenti finanziari derivati e, per meri fini di copertura, nei mercati a pronti, purche’ esse siano garantite da membri che aderiscono all’organismo di compensazione di tali mercati, quando la responsabilità del buon fine dei contratti stipulati da dette imprese spetta a membri che aderiscono all’organismo di compensazione di tali mercati;4) le altre categorie di soggetti privati individuati con regolamento dalla Consob, sentita Banca d’Italia, nel rispetto dei criteri di cui alla direttiva 2004/39/CE e alle relative misure di esecuzione;5) le categorie corrispondenti a quelle dei numeri precedenti di soggetti di Paesi non appartenenti all’Unione europea.”.[14] Ai sensi dell’art. 58 comma 2 del regolamento, stante la competenza prevista al num. 4 del comma 2 quater dell’art. 6 del T.u.f. “sono altresì controparti qualificate le imprese di cui all’Allegato n. 3, parte I, punti (1) e (2) non già richiamate al comma 1, a cui sono prestati i servizi ivi menzionati, nonché le imprese che siano qualificate come tali, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva n.2004/39/CE, dall’ordinamento dello Stato comunitario in cui hanno sede o che siano sottoposte a identiche condizioni e requisiti nello Stato extracomunitario in cui hanno sede. Gli intermediari ottengono da tali controparti la conferma esplicita, in via generale o in relazione alle singole operazioni, che esse accettano di essere trattate come controparti qualificate”.[15] Il co. 1° dell’art. 58 del Regolamento Consob 16190/2007 prevede infatti “alla prestazione dei servizi di investimento, e dei servizi accessori ad essi connessi, a controparti qualificate, non si applicano le regole di condotta di cui agli articoli da 27 a 56 , ad eccezione del comma 2 dell’articolo 49. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 35.”[16] Così, la definizione di “clienti professionali” in genere, contenuta nell’Allegato 3 al regolamento Consob 16190/2007.[17] Il La sezione I dell’allegato 3 al regolamento Consob del 2007 riconduce nell’ambito dei clienti professionali di diritto per tutti i servizi e gli strumenti di investimento: ” i soggetti che sono tenuti ad essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari, siano essi italiani o esteri quali:a) banche; b) imprese di investimento; c) altri istituti finanziari autorizzati o regolamentati; d) imprese di assicurazione;e) organismi di investimento collettivo e società di gestione di tali organismi; f) fondi pensione e società di gestione di tali fondi; g) i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci; h) soggetti che svolgono esclusivamente la negoziazione per conto proprio su mercati di strumenti finanziari e che aderiscono indirettamente al servizio di liquidazione, nonché al sistema di compensazione e garanzia (locals); i) altri investitori istituzionali; l) agenti di cambio”. Nonché, gli investitori istituzionali la cui attività principale è investire in strumenti finanziari, compresi gli enti dediti alla cartolarizzazione di attivi o altre operazioni finanziarie.Ai clienti professionali privati “di diritto” si aggiungono quelli pubblici, che il Ministero dell’economia e delle finanze dovrà individuare con apposita disciplina, sentite la Consob e la Banca d’Italia.[18] Cfr. Trib. Milano 3 aprile 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, 1, 36, con nota di V. V. Chionna, L’accertamento della natura di “operatore qualificato” del mercato finanziario rispetto ad una società.[19] I criteri sanciti a livello regolamentare circa la classificazione dei clienti devono poi essere concretizzati e specificati in appropriate misure interne ai singoli intermediari anch’esse adottate per scritto.[20] Più precisamente i criteri sono i seguenti: ” – il cliente ha effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; – il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare euro 500.000; – il cliente lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti.In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra è condotta con riguardo alla persona autorizzata ad effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima.”.[21] Così, l’Allegato 3, sezione II.2 del Regolamento Consob 16190/2007. [22] Al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 113 del Regolamento, non sembra necessaria una notifica a tutti i clienti classificati tra quelli “al dettaglio” e già precedentemente rientranti tra i “clienti retail” nonché per i clienti professionali “di diritto” della MiFID che in precedenza erano già classificati tra gli “operatori qualificati”, trattandosi di situazioni di continuità tra il precedente e il nuovo regime.

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