ISSN 2239-8570

Le SS. UU. sulla frazionabilità del credito: il “coraggio” del ripensamento, di Federico Pistelli


DOCUMENTI ALLEGATI

    Il termine con cui, più di frequente, la letteratura si è riferita alla pronuncia delle Sezioni Unite (15 novembre 2007, n. 23726) che, dopo soli sette anni, aveva ribaltato il precedente orientamento sul tema in esame (Cass., SS. UU., 10 aprile 2000, n. 108), è «coraggiosa»: coraggiosa nell’affrontare e risolvere il problema della frazionabilità giudiziale di un credito (cd. die Teilklage, secondo un’espressione mutuata dalla dogmatica tedesca) facendo leva sulla valorizzazione delle clausole generali di buona fede e correttezza, in un momento storico di loro massima ascesa. La perentorietà nell’affermazione di principio della Suprema Corte fotografa con estrema precisione il mutato contesto dell’epoca: «la disarticolazione dell’unità sostanziale del rapporto si risolve automaticamente in un abuso dello stesso […] risultando già per ciò solo la parcellizzazione giudiziale del credito non in linea con il precetto inderogabile del processo giusto». Senza mezzi termini, un processo frazionato comporta un ingiustificato prolungamento del vincolo coattivo ed un eccessivo aggravio di spese ed oneri di opposizione per la controparte, nonché il rischio, taciuto ma non nascosto, di un contrasto “pratico” fra giudicati.

    Ma vi è di più; il “coraggio” dei giudici di legittimità si spinge fino ad escludere che possa essere invocata, a fondamento della richiesta frazionata di un credito, la sussistenza di un interesse oggettivo del creditore, in quanto una sua «esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore» integra ugualmente un esercizio abusivo del suo diritto. Il risultato è tanto semplice quanto risolutivo: un credito unitario non può essere richiesto, contestualmente o sequenzialmente, in separati giudizi. Come si è sostenuto da più parti, il rischio di falsi positivi o – si passi l’espressione – di fare di tutta l’erba un fascio, non può essere nascosto, alla luce dell’uso di quel preciso avverbio “automaticamente” che sembra di fatto chiudere alla discrezionalità dell’organo giudicante.

    È stato infatti sufficiente attendere dieci anni perché, puntualmente, il primo “falso positivo” si presentasse in Cassazione, dando luogo all’ennesima pronuncia a Sezioni Unite (16 febbraio 2017, n. 4090), con una precisazione però determinante. Il caso trae origine dal ricorso della FIAT nei confronti della decisione della Corte d’Appello di accoglimento della domanda di un lavoratore, diretta al ricalcolo del premio fedeltà; l’Azienda automobilistica chiedeva infatti che la domanda fosse riconosciuta come improponibile, in quanto già coperta dal giudicato di una precedente azione, fra le stesse parti, avente ad oggetto stavolta la rideterminazione del TFR. Non condividendo, la Sezione rimettente, la tesi dell’equiparazione del fascio di rapporti obbligatori, si decide di invocare nuovamente l’intervento delle Sezioni Unite.

    Un approccio all’applicazione dei principi e delle clausole generali più “maturo”, in quanto consolidatosi in una storia decennale di successi, contraddistingue il “coraggio” della Suprema Corte di rinnovare il precedente orientamento: la proposizione frazionata trova difatti riscontro in un interesse del creditore «oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato». Di interesse “oggettivamente valutabile” si potrà dar conto, ad esempio, nei casi in cui si possa agire in via monitoria per un credito munito di prova scritta o quando risulti conveniente proporre insinuazione tempestiva nel passivo fallimentare; tutto ciò, prestando attenzione ad operare un corretto bilanciamento fra interesse del creditore, da un lato, e principio antiabusivo (diretto a tutelare la posizione individuale del debitore, ma anche il macro interesse al definitivo consolidamento della situazione sostanziale) dall’altro.

    Una considerazione di fondo ridimensiona, solo in parte, il “coraggio del ripensamento” e si può trarre dal concetto stesso di unitarietà del credito. A ben vedere, le Sezioni Unite del 2007 hanno acceduto ad una definizione di unitarietà latu sensu, ossia estensibile a ciascun credito che sia riconducibile al medesimo rapporto, ma hanno da sempre dovuto fare i conti, in concreto, con la proposizione di domande relative a porzioni di un credito su un quantum omogeneo (fatture relative ad un’unica fornitura, richiesta di accessori su una indennità di buona uscita etc.). Tale contrasto risulta, di conseguenza, meno marcato di quanto prima facie appaia, se si considera che il caso in esame non solo coinvolge crediti diversi, ma anche di diversa fonte: una legale, il TFR, l’altra pattizia, il premio fedeltà. Sembra difatti anche discutibile che si possa ragionare di vero e proprio frazionamento quando siano coinvolti «una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso». Una tale considerazione non pregiudica la necessità di un corretto bilanciamento in ipotesi di effettiva unitarietà ed ha il pregio di rifuggire da falsi problemi.

 

 

Riferimenti Bibliografici:

Dalla Massara, La domanda frazionata e il suo contrasto con i principi di buona fede e correttezza: il «ripensamento» delle Sezioni unite, in Riv. Dir Civ., 2008, II, 345 ss.

De Cristofaro, Infrazionabilità del credito tra buona fede processuale e limiti oggettivi del giudicato, in Riv. Dir. Civ., 2008, II, 335 ss.

Pagenstecher, Efficacia del giudicato contro il vincitore nel diritto processuale civile germanico, in Studi in Onore di Chiovenda, Padova, 1927, 627 ss.

Palmieri – Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile, in Il Foro Italiano, 2008, I, 1514

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