ISSN 2239-8570

Presunta nullità virtuale del contratto per violazione della normativa antiriciclaggio, di Tommaso Polvani


DOCUMENTI ALLEGATI

La Corte di Cassazione si pronuncia in tema di nullità del contratto posto in essere in violazione della normativa antiriciclaggio dettata dalla legge 231 del 2007. La questione si inserisce all’interno della più ampia tematica volta a comprendere quali siano gli esiti dell’eventuale contrasto tra un contratto e una norma imperativa.

La problematica di cui si discute trova origine in un contratto di compravendita di un immobile non adempiuto – secondo il venditore – da parte dell’acquirente. La ricorrente agiva per chiedere la risoluzione del contratto in ragione della mancata corresponsione del prezzo pattuito. L’acquirente eccepiva, al contrario, di aver versato l’intera somma stabilita, inizialmente mediante dazione di assegni, poi, stante l’assenza di un conto corrente intestato alla venditrice su cui versarli, a mezzo pagamento in contanti, con restituzione degli assegni al momento del versamento integrale del prezzo.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda, in ragione dell’inammissibilità della prova per testi che l’acquirente aveva richiesto al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento in contanti. Diversamente, la Corte d’Appello di Napoli riteneva ammissibile tale prova, a seguito della quale veniva accertata la corresponsione del prezzo. Avverso la decisione della Corte d’Appello ricorreva la venditrice adducendo ben undici motivi.

La sentenza della Corte di Cassazione, mediante la quale viene rigettato il ricorso, si fonda su due diverse considerazioni.

In primo luogo, il giudice di legittimità riconosce l’insindacabilità della valutazione compiuta dal giudice di merito che ritenga esistente un indizio – consistente nel possesso degli assegni da parte dell’acquirente – di prova scritta dell’occorso pagamento in contanti. A seguito di tale valutazione, la Corte d’Appello aveva ammesso la prova testimoniale che ha poi confermato l’avvenuto pagamento del prezzo. Il giudice del merito ha ben applicato il disposto dell’art. 2724 c.c. secondo cui, anche nelle ipotesi in cui la prova testimoniale sarebbe preclusa, la medesima “è ammessa in ogni caso” ove vi sia un principio di prova per iscritto del fatto che si vuole dimostrare. Si ritiene quindi provato l’avvenuto pagamento del prezzo.

In secondo luogo, la Corte si sofferma sulla questione della presunta nullità del contratto, invocata dalla ricorrente, per violazione della legge 231 del 2007 relativa all’antiriciclaggio, a causa del compiuto pagamento in contanti.

La Suprema Corte evidenzia come la corresponsione del prezzo in violazione di tale disciplina sia punito dalla legge mediante sanzione amministrativa. Per tale motivo si esclude che il contratto così posto in essere possa incorrere in ipotesi di nullità virtuale ai sensi del primo comma dell’art. 1418 c.c. La Corte ribadisce che tale istituto giuridico presuppone il ricorrere di tre elementi: 1) il contrasto con una norma imperativa; 2) la mancata previsione da parte della legge di una sanzione diversa da quella della nullità, ovverosia l’assenza di esplicita sanzione dell’atto o della condotta; 3) la riferibilità della norma imperativa al contratto.

L’istituto della nullità virtuale, da un punto di vista più generale, presuppone una complessa attività ermeneutica dell’interprete. Nonostante la formulazione letterale del primo comma dell’art. 1418 c.c (“Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”), non è possibile sostenere che il contratto concluso in violazione di norme imperative debba, di regola, essere considerato nullo. La nullità non è l’esito naturale e automatico della contrarietà a norma imperativa, ma costituisce un rimedio soltanto possibile ed eventuale. Si ritiene che i parametri alla stregua dei quali, dalla violazione di una norma imperativa, consegua la nullità del contratto siano la valutazione del carattere pubblico o privato degli interessi tutelati dalla stessa (Cass. n. 11600/2011; Cass. n. 11351/2001; Cass. n. 660/1982; Cass. n. 3181/1990; Cass. n. 835/1982; Cass. n. 5311/1979) e, come insegnato dalla dottrina, l’individuazione del rimedio più idoneo a realizzare l’esigenza di tutela perseguita.

Con riferimento alla fattispecie esaminata, in ragione della sanzione prevista dalla normativa antiriclaggio, la Corte ha escluso che dalla violazione della stessa possa ricavarsi, in via interpretativa, una nullità virtuale dell’atto.

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