ISSN 2239-8570

Trasparenza, clausole abusive e poteri di integrazione del giudice, di Caterina Bresci (segnalazione a CGUE, 03.03.2020, C-125/18)


DOCUMENTI ALLEGATI

Ancora una volta, i contratti di mutuo ipotecario stipulati con i consumatori sono al centro delle puntuali statuizioni della Corte di Giustizia. Con la sentenza del 3 marzo 2020, la Grande Chambre si pronuncia su alcune delicate questioni sottopostele in via pregiudiziale dal Tribunale di primo grado di Barcellona.

Tali quesiti concernono il controllo di trasparenza previsto dalla Direttiva 93/13/CE, con particolare attenzione da un lato a contenuti e limiti di siffatto obbligo e, dall’altro, alle conseguenze della sua violazione e in special modo ai poteri integrativi del giudice nazionale, relativamente alla clausola di determinazione del tasso di interesse variabile (di seguito, “la clausola controversa”).

Il rinvio pregiudiziale origina infatti dalla domanda di invalidità promossa dal mutuatario-consumatore, il quale lamenta che la clausola controversa sia ancorata ad un indice di infrequente applicazione – l’IRPH delle casse di risparmio spagnole; di seguito, “l’indice controverso” – e che essa risulti, nella sua formulazione, eccessivamente complessa e non intelligibile per un consumatore medio. Nutrendo alcuni dubbi circa l’effettiva soddisfazione dell’obbligo di trasparenza, il giudice spagnolo decide di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, il giudice di Lussemburgo è chiamato a dichiarare se la clausola controversa, riproduttiva di disposizioni nazionali, possa essere esclusa dall’ambito di applicazione della Direttiva 93/13 ai sensi dell’art. 1, comma 2 Dir. La posizione della Corte, a riguardo, è negativa: salve ulteriori verifiche del giudice nazionale, essa ritiene che la normativa nazionale riprodotta nel contratto non rivesta carattere imperativo o residuale ma si limiti invero a prescrivere alcuni requisiti degli indici applicabili dagli istituti di credito, ivi incluso l’indice controverso.

Con la seconda questione, suddivisa in tre punti, la Corte procede a esaminare più specificamente i contorni del dovere di trasparenza. In primo luogo, essa è chiamata a chiarire se il giudice nazionale possa procedere a valutare il carattere vessatorio della clausola controversa, nonostante la mancata trasposizione nell’ordinamento spagnolo dell’art. 4, comma 2 Dir. 93/13; siffatta disposizione, come noto, esclude che il sindacato di abusività possa investire – fra le altre – le clausole vertenti sull’oggetto principale del contratto.

La Corte supera il problema statuendo che, a prescindere dall’effettivo recepimento dell’art. 4 Dir., la limitazione ivi contenuta non si estende al giudizio di trasparenza; il giudice nazionale, pertanto, è sempre ammesso – rectius, tenuto – a verificare il carattere chiaro e intelligibile delle clausole negoziali. Tale lettura è altresì confortata dal dettato dell’art. 5, comma 1 Dir., a norma del quale le clausole contenute in un contratto concluso in forma scritta devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile.

La Corte prosegue poi con l’analisi congiunta degli ulteriori due punti del secondo quesito. Essi, infatti, sono volti a chiarire se il professionista sia tenuto ex artt. 4 e 5 Dir. 93/13 a fornire al consumatore analitica descrizione delle modalità di funzionamento del tasso di interesse applicato, nonché a illustrare l’andamento nel corso del tempo dell’indice di riferimento qualora le clausole risultino di complessa formulazione. La Corte, in ragione della posizione di preminenza contrattuale del professionista, si richiama al proprio consolidato orientamento (v., ex multis, sentenze 30 aprile 2014, Kásler, C-26/13, e 20 settembre 2017, Andriciuc e altri, C‑186/16) ed esclude che l’obbligo di trasparenza gravante su quest’ultimo possa limitarsi alla mera intelligibilità grammaticale e formale delle pattuizioni (c.d. trasparenza “formale”); tale dovere, invero, deve essere finalizzato a porre il consumatore medio in condizione di comprendere il funzionamento, le modalità di calcolo di siffatto saggio di interessi, nonché le conseguenze economiche della clausola controversa sulle proprie obbligazioni finanziarie (c.d. trasparenza “sostanziale”). Ai fini di tale valutazione, la Corte ritiene elementi particolarmente pertinenti per il giudizio del giudice nazionale: i) l’accessibilità e la pubblicità delle condizioni applicate; ii) l’effettiva comunicazione dell’andamento (sia passato che futuro) dell’indice de quo.

Con la terza questione pregiudiziale, il giudice europeo è chiamato a pronunciarsi, in assenza di ulteriori pattuizioni applicabili, sulla compatibilità dei rimedi prospettati dal giudice del rinvio (integrazione giudiziale della clausola abusiva; prosecuzione del rapporto a titolo gratuito) con gli artt. 6 e 7 Dir. 93/13.

La Corte, occupandosi del solo potere giudiziale di sostituzione della clausola invalida, fornisce risposta positiva al quesito. Seppur eventuali interventi giudiziali correttivi rischierebbero di frustrare la finalità dissuasiva della Direttiva 93/13 (art. 7. Dir.), tuttavia il giudice nazionale è eccezionalmente ammesso a sostituire “… all’equilibrio formale, che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime…” (v., da ultimo, sentenze del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17 e 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17); ciò, in particolare, si realizza espungendo la clausola abusiva e sostituendola con una disposizione nazionale a carattere imperativo o suppletivo. Detta sostituzione – ribadisce la Corte – può tuttavia avvenire al ricorrere di tre condizioni, individuate a partire dalla sentenza Kasler: i) la clausola contrattuale invalida è essenziale; ii) l’invalidità della clausola controversa comporta la caducazione dell’intero contratto; iii) la radicale invalidità del contratto produce effetti deteriori per il consumatore rispetto al mantenimento inalterato del contratto viziato.

Infine, l’osservazione del Governo spagnolo circa la necessità di limitare nel tempo gli effetti della pronuncia della Corte trova risposta negativa. Il giudice europeo, infatti, ritiene insufficiente l’interpretazione del diritto dell’Unione per determinare, da sé sola, le conseguenze finanziarie di un’eventuale nullità della clausola impugnata per il sistema bancario e per gli istituti bancari individualmente considerati.

La sentenza segnalata, pertanto, appare significativa sotto plurimi aspetti. In primo luogo, la Corte conferma che tutte le clausole contrattuali, ineriscano esse o meno all’oggetto dell’accordo, possono essere sottoposte al sindacato di trasparenza; siffatto obbligo, tuttavia, non si sostanzia in un mero dovere – sia pur approfondito – di informazione da parte del professionista (obbligo di c.d. trasparenza sostanziale), ma impone quantomeno un onere del consumatore di autoinformazione sulle modalità di funzionamento e calcolo dell’interesse applicato, se i relativi meccanismi sono resi pubblici o comunque facilmente accessibili. In secondo luogo, la Corte conferma il potere del giudice nazionale di procedere all’integrazione della clausola invalida, seppur fortemente circoscritto alle condizioni sopra indicate e limitato all’impiego di disposizioni imperative o suppletive nazionali (v. da ultimo sentenza Dziubak, 3 ottobre 2019, C-260/18). Tuttavia, l’aspetto più apprezzabile della pronuncia consiste nell’apertura, compiuta dalla Corte di Lussemburgo, verso la configurazione di un regime di invalidità conseguente alla formulazione non chiara né comprensibile di alcune clausole contrattuali e non più in esito al mero accertamento del carattere vessatorio tout court della clausola. Tale soluzione, in particolare, sembra dischiudere una nuova stagione dell’obbligo di trasparenza e impone una seria riflessione sul suo concetto, nonché sul rapporto tra clausola abusiva e clausola non trasparente.

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