ISSN 2239-8570

Compensatio Lucri cum Damno: alle SS.UU. la questione del rapporto fra risarcimento aquiliano ed indennizzo assicurativo, di Federico Pistelli


DOCUMENTI ALLEGATI

La nota e tragica vicenda della strage di Ustica (27 giugno 1980), la cui ricostruzione dei fatti assume confini ancora incerti, costituisce l’occasione per affidare alle Sezioni Unite (Sez. III, ordinanza 22 giugno 2017, n. 15543) la risoluzione di una questione di rilievo centrale nel diritto delle obbligazioni. Il tema impegnato è quello della compensatio lucri cum damno, ossia del principio in virtù del quale, nelle ipotesi in cui il fatto illecito (da responsabilità aquiliana o contrattuale) abbia prodotto anche conseguenze vantaggiose in capo al danneggiato, anche di esse si dovrà tener conto in sede di determinazione dell’importo del risarcimento. Il quesito rivolto alla Corte si interroga sulla operatività di questo principio non solo per vantaggi derivanti da medesimo fatto, o attribuibili comunque allo stesso titolo, ma anche per quelli derivanti da atti indipendenti dalla volontà del danneggiante (emolumenti di assicuratori privati o sociali, enti previdenziali, terzi), che non si sarebbero potuti produrre in assenza del danno.

La questione assume rilievo assolutamente dirimente nella controversia portata all’attenzione della Suprema Corte: una volta accertata la responsabilità dei Ministeri competenti per non aver garantito la regolare circolazione e la sicurezza del volo (l’ipotesi ricostruttiva accreditata dalla Cassazione è quella dell’abbattimento dell’aeromobile da parte di un missile terra/aria), il giudice rimettente si domanda se, in sede di determinazione dell’importo risarcibile, debba tener conto dell’indennizzo già ricevuto da parte della compagnia assicurativa, per il valore del velivolo e per i danni da revoca della concessione di volo.

Data l’assenza di un riferimento normativo che espressamente contempli la figura della compensatio, a lungo si è dibattuto sull’esistenza di un principio generale (prospettato dalla civilistica tedesca di primo ‘900 con la figura della Vorteilungsausgleich, ricondotta alla fattispecie del § 249 BGB in virtù della concezione patrimonialistica di danno tipica di quell’ordinamento) o sull’ascrivibilità della sua applicazione solo a particolari e specifiche ipotesi. L’applicazione pratica dell’istituto ha pertanto assunto una molteplicità di sfaccettature portando, ad esempio, all’esclusione della detraibilità della pensione di reversibilità ricevuta dalla vedova (Cass., 20448/2014), ammettendola invece per la rendita INAIL ai congiunti della vittima per infortuni sul lavoro (Cass., 3503/1986). Sul versante assicurativo le oscillazioni in giurisprudenza sembrano, al contrario, meno evidenti, perché è stato in più battute escluso che possano essere avanzate delle pretese ulteriori da parte del danneggiato, quando abbia ricevuto un ristoro parziale da parte dell’assicurazione (Cass., 8353/1987; Cass., 9742/1997). È in un contesto dunque di maggior uniformità di indirizzo (quello degli indennizzi assicurativi) che la Sez. III decide di rivolgersi alle Sezioni Unite per la risoluzione di una questione di portata generale.

 Il giudice rimettente non si limita tuttavia a sollevare il quesito e a motivare in merito alla centralità della questione ma, nell’ottica di “collaborare fattivamente al compito di nomofilachia riservato alle Sezioni Unite”, espone le ragioni di criticità dell’orientamento che esclude la compensatio con vantaggi derivanti da fonte diversa (e specificamente, da legge o contratto) da quella dell’illecito, assumendo dunque una posizione favorevole sul punto. Il ragionamento si incentra prevalentemente sull’applicazione delle regole sul nesso di causalità: la ricostruzione dell’illecito quale mera occasione del lucro – a fondamento del quale sta l’esclusione della operatività della compensatio – si mostra apertamente in contrasto con la più accreditata teoria della regolarità causale e ha l’effetto di svuotare la portata applicativa dell’azione di surrogazione.

Più che nei termini della compensatio, a detta della Corte, la regola della quantificazione dei vantaggi economici conseguenti dall’illecito in sede di stima del danno risarcibile è da ricondurre al principio generale di indifferenza (o indennitario), in virtù del quale gli esiti dell’azione risarcitoria non possono rendere la vittima “né più ricca, né più povera, di quanto non fosse prima della commissione dell’illecito”. L’operazione di computo delle conseguenze in malam e in bonam partem avrà pertanto carattere unitario e dovrà consistere nella “sottrazione dal patrimonio della vittima ante sinistro il patrimonio della vittima residuato al sinistro”.

La presa di posizione della Sezione rimettente è manifestata apertamente in conclusione: “La percezione dell’indennizzo”, in special modo se di carattere assicurativo o previdenziale, “da parte del danneggiato, elide in misura corrispondente il suo credito risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estingue e non può più essere preteso, né azionato”. Data l’estrema precisione nella ricostruzione dogmatica dell’istituto, nonché la persuasività delle argomentazioni proposte dai giudici rimettenti, l’esercizio della funzione nomofilattica da parte delle Sezioni Unite potrà pertanto rivelarsi particolarmente agevole o, al contrario, di estrema complessità, a seconda che intendano uniformarsi o divergere dall’indirizzo interpretativo fatto proprio dalla Sezione III ed espresso nell’ordinanza.

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