ISSN 2239-8570

L’assicurazione della responsabilità civile al vaglio delle Sezioni Unite: il bis in idem sulla validità delle clausole claim’s made impure, di Federico Pistelli


DOCUMENTI ALLEGATI

L’ordinanza di rimessione in commento (Cass., Sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1465, Rel. Rossetti) pone nuovamente al centro del dibattito il tema della legittimità della clausola claim’s made come modello assicurativo per la responsabilità civile. Il nuovo rinvio alle Sezioni Unite sembra costituire il terzo momento in un’ipotetica sequenza temporale fra le decisioni di legittimità che nell’ultimo triennio hanno contribuito a tratteggiare i contorti di una fattispecie “socialmente” tipica – in quanto assolutamente prevalente nella prassi dei contratti assicurativi – ma ancora priva di un’apposita disciplina normativa.

La composizione più autorevole della Cassazione aveva già avuto modo di pronunciarsi in tema di validità della suddetta clausola (SS. UU., 6 maggio 2016, n. 9140), escludendone il carattere vessatorio, ma condizionando la tenuta del singolo regolamento contrattuale al positivo esito del vaglio di meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti (art. 1322, comma 2 c.c.). Gli ampi contorni di discrezionalità del giudizio, che sembravano emergere dalla formulazione di questa regola, hanno però conosciuto un primo ed importante arresto da parte della stessa giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. III, 28 aprile 2017, n. 10506, a firma del medesimo relatore dell’ordinanza in commento) riguardo alla species di regime assicurativo più discusso: quello della claim’s made cd. impura (o spuria), che comporta l’esonero dall’obbligo di indennizzo per le richieste di risarcimento pervenute successivamente alla scadenza della polizza, a prescindere dal momento di verificazione dell’evento dannoso. Un siffatto regolamento atipico contrasta, a detta della Corte, con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione fra le parti e realizza dunque un risultato non meritevole di tutela perché significativamente squilibrato a favore dell’assicuratore. Pur non arrivando ad escluderne di principio la validità, in giurisprudenza era già emerso dunque un preciso indirizzo di sfavore verso le lacune di tutela cui l’utilizzo di questa particolare articolazione del modello claim’s made espone, specie in ambito di assicurazione per responsabilità professionale.

Il tentativo di un ulteriore passo in avanti è ora intrapreso dall’ordinanza in commento che, esponendosi direttamente, auspica che “la clausola claim’s made, nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto, sia dichiarata [dalle Sezioni Unite] immeritevole di tutela sempre e comunque”.

All’esame della Corte è sottoposto un rapporto assicurativo strutturato attraverso due contratti successivi, entrambi regolati secondo il regime della “richiesta fatta”, ma profondamente divergenti in punto di determinazione dell’importo della franchigia (ossia della parte di danno non coperta dall’assicurazione). La riconduzione della copertura per l’evento dannoso (la distruzione di merci contenute in un magazzino) all’interno del primo o del secondo contratto costituisce dunque il punto centrale della disamina offerta dalla Corte di Cassazione.

L’analisi preliminare prende le mosse dalla determinabilità, in via convenzionale, del significato del lemma “sinistro” (art. 1882 c.c.) e, precisamente, nei limiti che l’autonomia negoziale incontra nel definire come sinistro non già l’evento di causazione del danno, quanto quello successivo della richiesta di risarcimento.  Oltre all’evidenza del dato letterale (della normativa codicistica e di quella speciale), la Corte adduce come argomentazione il legame fra il concetto di rischio in astratto, previsto nell’art. 1895 c.c. e quello in concreto dell’art. 1882 c.c., corrispondente alla nozione di sinistro. Ebbene, se l’autonomia negoziale si esplica nella sua interezza con riferimento alla individuazione del rischio assicurabile (purché legato ad un evento futuro, possibile, incerto, oggettivamente esistente e non prodotto artificialmente), non altrettanto si può dire rispetto al sinistro, che è elemento qualificante del tipo contrattuale del rapporto di assicurazione, nonché linea di discrimine con la scommessa. Ciò vale a dire che le parti “non possono attribuire la qualifica di sinistro ad un evento che non sia pregiudizievole per il patrimonio dell’assicurato, ed al cui avverarsi l’assicurato non abbia un interesse contrario”.

Superato questo primo ostacolo, la Corte si sofferma più approfonditamente sulla questione della validità del patto di esclusione dell’indennizzo per richieste postume. L’ordinanza dà atto della presa di posizione delle Sezioni Unite sul tema, ma non ravvisa l’identità di questioni, in ragione del fatto che sono all’esame profili ulteriori e diversi da quelli già decisi.

Diversa è specialmente l’ottica da cui muove la Sezione rimettente: non più quella di un sindacato sul singolo e specifico regolamento dedotto in giudizio, quanto sul risultato che il modello di assicurazione “claim’s made” mira a perseguire. Un risultato che, secondo l’opinione espressa nell’ordinanza di rimessione, è sempre e comunque immeritevole di tutela. Facendo leva sul progressivo definirsi, in giurisprudenza, degli indici rilevanti per il giudizio di meritevolezza, la Corte passa in esame con rigore all’interesse perseguito da questa tipologia di patto contrattuale. La clausola attribuisce difatti all’assicuratore “un vantaggio ingiusto e sproporzionato”, consistente nella “riduzione del periodo effettivo di copertura assicurativa”, senza alcuna contropartita. In secondo luogo, l’esclusione delle richieste postume alla scadenza pone l’assicurato “in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra”, per un evento che è futuro ed incerto, nella misura in cui dipende comunque dalla volontà del terzo danneggiato. Da ultimo, l’immeritevolezza si ricava dalla costrizione per l’assicurato “a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti” quali, ad esempio, l’impossibilità di provvedere allo spontaneo adempimento, in considerazione del conseguente rifiuto che l’assicuratore opporrebbe alla richiesta di manleva per il mancato avveramento della condicio iuris della prestazione assicurativa. Ciò espone inoltre a condotte di approfittamento da parte dell’impresa di assicurazione che, conscia dell’avvenuto verificarsi di un evento potenzialmente idoneo ad attivare la copertura assicurativa, impone una rimodulazione delle condizioni generali del contratto, prima che pervenga la corrispondente richiesta di risarcimento all’assicurato.

La parola passa dunque nuovamente alle Sezioni Unite, chiamate stavolta a confermare o a smentire i principi consolidatisi nell’orientamento della Sezione III: che “nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.”; che “nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito”.

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